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Nascite: prosegue il declino, 316 in meno rispetto al 2011

Narzole piange un neonato di 20 giorni morto in culla

POPOLAZIONE  Studiare demografia non è uno sterile esercizio matematico, ma un modo per comprendere le dinamiche che caratterizzano le società umane. Secondo i dati del Bollettino epidemiologico dell’Azienda sanitaria Cuneo 2, elaborato sui dati del 2021, nella circoscrizione vivono 169.573 persone, il 4 per cento dei residenti della regione. Alba e Bra, con 31.215 e 29.466 abitanti, sono i centri più grandi, seguiti da Cherasco (con 9.383), Sommariva del Bosco (con 6.251) e Canale (con 5.575). La speranza di vita alla nascita è di 81 anni per gli uomini e di 85 per le donne, dati leggermente superiori alla media del Piemonte.

Un indicatore positivo che stride, però, con i dati della natalità: spiegano gli autori del documento che «anche nel 2020 fra Albese e Braidese, il saldo naturale è stato negativo (1.158 persone in meno). I decessi superano le nascite, confermando una tendenza stabile da tempo». Fra 2011 e 2020 le nascite si sono ridotte da 1.515 a 1.199, «il tasso di natalità nel 2020 è di 7,1 nati per 1.000», precisano i ricercatori, «nello stesso anno si sono avuti 2.357 decessi: un aumento di 329 unità rispetto al 2019».

Infine l’indice di carico di figli per donna in età feconda – cioè il rapporto tra il numero di bambini con meno di 5 anni e quello delle donne fra 15 e 50 anni – nel 2020 assommava a 19,7, mentre nel 2011 era di 20,7. In altre parole le persone tendono a fare sempre meno figli: abbandonati dalle istituzioni e privi di servizi sufficienti per condurre una vita serena, i giovani rinunciano ai progetti familiari.

La compensazione per questo “deficit” di gravidanze proviene da fuori. Come nel resto della regione, anche nel nostro comprensorio sanitario i flussi migratori mantengono integro il sistema demografico. Nel nostro areale risiedono 19.099 cittadini stranieri, l’11,3 per cento della popolazione totale (con un incremento dello 0,9 per cento rispetto al 2011): nelle altre aree del Piemonte l’indicatore delle presenze si ferma al 9,5 per cento dei residenti.

Nel complesso si delinea il quadro di una comunità che va rimpicciolendosi: alle persone mancano la speranza e la possibilità di progettare il domani con fiducia, per questo non fanno più figli. In un mondo competitivo, nel quale le istituzioni si mostrano lontane dalle necessità reali della popolazione, serve trovare nuovi modi di essere e immaginare il futuro: l’attuale periodo di smarrimento può rappresentare un’occasione di reinvenzione.

Maria Delfino

Assieme alla speranza di vita crescono le malattie croniche

Assieme a Massimo Veglio, direttore generale dell’Azienda sanitaria di Alba e Bra, parliamo di dinamiche demografiche.

L’aumento della speranza di vita è un segnale positivo e a cosa è dovuto?

«È un andamento abbastanza diffuso nel mondo occidentale: l’aumento della speranza di vita e dell’età media incrementa la prevalenza delle malattie croniche, patologie che si manifestano per il fisiologico deterioramento degli organi. La degenerazione delle articolazioni dovuta all’usura è un esempio di fenomeni che colgono gli anziani; lo stesso discorso vale per tutte le altre funzioni del corpo umano, la cui operatività si riduce con l’andare del tempo».

Le condizioni di invecchiamento variano?

«In media l’aumento dell’età corrisponde a una condizione di minore qualità: naturalmente si parla di dati medi, non della condizione dei singoli. È plausibile che vi siano persone che, a 40 anni, abbiano una situazione di salute precaria e persone attive a 90 anni. Dipende in parte dalla genetica, in parte dallo stile di vita. La qualità esistenziale dipende da cosa ci si attende e cosa si pretende. Riflettere, meditare, procedere lentamente, accettare sé stessi sono tutte condizioni mentali che permettono di realizzare, magari, di avere delle limitazioni ma di godere ugualmente di un vita allungata».

m.d.

In Italia cala, con i neonati il numero dei futuri genitori

Letizia Mencarini è una demografa dell’Università Bocconi di Milano. Per l’istituto di ricerca Ires Piemonte ha pubblicato, a metà febbraio, un video, nel quale afferma essere «404mila i bambini nati, nel 2020, in Italia.

Nel 2008 erano più di 576mila: per capire quanto si siano ridotte numericamente le nuove generazioni, rispetto al passato, negli anni ’60 nascevano più di un milione di bambini». Le difficoltà demografiche sarebbero attribuibili alla fatica delle nuove generazioni in rapporto al futuro possibile: dalla precarietà economica, alla sensazione di incertezza e solitudine, all’assenza di asili e sussidi e alle basse retribuzioni lavorative.

Trascorsi gli anni del grande benessere, anche nel nostro “Occidente” le dinamiche si sono invertite. Prosegue Mencarini: «Per avere nuovi nati occorre un buon numero di potenziali genitori: padri e madri di oggi sono i nati degli anni ’80 o ’90, quando, nel complesso, i neonati non arrivavano a 600mila. La bassa fecondità che perdura in Italia riduce non soltanto il numero di bambini ma anche di futuri genitori: le madri non solo sono di meno, ma anche meno giovani.

Le donne in età fertile – cioè fra 25 e 40 anni – sono meno di 13 milioni, la maggioranza ha più di 35 anni. Nei prossimi vent’anni si prevede un’ulteriore riduzione di almeno due milioni e mezzo, con una spirale discendente. Il numero dei nuovi nati non può dunque che diminuire».

Non mancheranno difficoltà sociali, per questo stato di cose, ma le trasformazioni future non porteranno solo paura ma dovranno essere uno stimolo per ideare nuovi modi di organizzazione, capaci di generare benessere non solo materiale, ma anche in termini di pianificazione di un avvenire sereno per le potenziali nuove famiglie.

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