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Povertà: anche i cuneesi sono a rischio

LA RICERCA Accanto a benessere e ricchezza che tendono a monopolizzare i palcoscenici, anche fra Langhe e Roero ci sono persone abbandonate emotivamente e materialmente. I servizi sociali fanno il possibile, ma non dispongono di forze sufficienti: ne è riprova l’aumento dei senzatetto in Regione, rilevato da Ires nel rapporto intitolato L’inclusione delle persone senza fissa dimora. Secondo gli studiosi le criticità si legano alla pandemia e alle limitazioni imposte dal Governo per affrontarla, con l’effetto di rendere ancora più deboli le persone fragili.

Spiegano i ricercatori: «La popolazione senza dimora è troppo spesso invisibile. L’indicazione di restare a casa ha posto enfasi su quanti non ne hanno una e la pandemia ha amplificato disuguaglianze già esistenti. Il ruolo dei servizi sociali è centrale per garantire il godimento di una cittadinanza effettiva e preservare dai pericoli la salute di chi vive in condizioni di emarginazione».

Povertà: anche i cuneesi sono a rischio

L’emergenza abitativa, però, persiste ed è anzi un fenomeno sociale presente in tutte le città: in Piemonte, secondo i dati della Regione, si contano 3.500 persone senza fissa dimora. A marzo la Giunta ha attivato, in risposta alla gravità della situazione, un piano di assistenza sociosanitaria speciale: il provvedimento riconosce a chi vive per strada la possibilità di iscriversi nelle liste delle Asl, scegliere il medico di base e accedere alle prestazioni garantite secondo i Livelli essenziali di assistenza (Lea).

Una misura urgente, anche perché negli ultimi anni il popolo dei senzatetto è cambiato per composizione e mostra esigenze complesse: ne fanno parte persone straniere in uscita da percorsi di accoglienza e senza alternative; individui con dipendenze o comportamenti patologici, donne vittime di violenza domestica con figli minorenni, badanti che hanno perso lavoro e abitazione; soggetti travolti da un’improvvisa caduta in povertà.

Non avere una casa conduce spesso all’emarginazione sociale. Gli approcci d’aiuto adottati sono al centro delle conclusioni dei ricercatori di Ires: «Tra le risposte più diffuse prevale una logica emergenziale, basata sul ricovero notturno in dormitori distinti per genere: rifugi da lasciare il mattino seguente. Ci sono poi le distribuzioni di pasti e bevande calde durante il giorno e la notte, le cure sanitarie fornite nei Pronto soccorso o da volontari in ambulatori specifici».

Nel futuro prossimo la situazione potrebbe peggiorare: anche nei piccoli comprensori come quello cuneese il rapporto dell’ente di ricerca regionale individua il rischio di una povertà “grigia”. Alla recrudescenza della miseria contribuiscono, secondo gli estensori dello studio, «flussi migratori consistenti e un aumento sensibile dei tassi di disoccupazione. Con la pandemia in corso, inoltre, al netto di provvedimenti quali il blocco temporaneo degli sfratti, il rischio di ingrossare le file della popolazione di senzatetto, già in crescita ovunque, appare concreto».

Sara Elide

Migranti e persone con dipendenze nelle schiere dei senzatetto cuneesi

«È una fatica per chi come me ha vissuto trent’anni senza sapere cos’era una bolletta o una banca, inserirsi di nuovo nella società. Io non sono abituato a queste storie qua»: a parlare è un senzatetto piemontese appena tornato a vivere in appartamento. La sua dichiarazione, contenuta nella ricerca che Ires ha pubblicato ad aprile, è una delle storie di chi vive lontano dalle pagine dei giornali e dal mondo della competizione lavorativa. In provincia i senza fissa dimora hanno un’identità specifica, sono “diversi” da quelli delle grandi città. Spiega un operatore attivo nel campo dell’assistenza: «Sono tutte persone che hanno sempre lavorato, con famiglia e una vita che rientrava nel canone della normalità, ma a un certo punto tutto quello che avevano si è sgretolato».

E aggiunge un altro che opera nel Cuneese: «Nelle piccole realtà le storie dei bisognosi sono spesso conosciute ed è più facile capire le necessità di chi è in strada». Un’intervistata, dipendente della cooperativa sociale Momo di Cuneo, tratteggia il profilo dell’utenza: «Abbiamo migranti della frutta, persone con dipendenze da alcol o da altre sostanze o con patologie psichiatriche, altre appena uscite da gravi problemi, ma con difficoltà di reinserimento», racconta. E prosegue: «I pochi giovani che assistiamo e sono in strada hanno delle situazioni molto complesse, spesso c’è un abbinamento tra patologia psichiatrica e dipendenza. Ci sono, infine, i senza dimora usciti dai Centri d’accoglienza che talvolta, abbandonati, si danno all’alcol».

s.e.

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