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L’alta Langa è l’ultima frontiera da difendere

Vino: ultimi 10 giorni vendemmia per Alta Langa

AMBIENTE Walter Boffa è un attivista ambientale: col volgere al termine della stagione agricola lo abbiamo interpellato sulla situazione del nostro areale.

Cosa sta accadendo nella nostra area collinare?

«La bassa Langa ha visto, negli ultimi decenni, un processo di trasformazione agricola e paesaggistica pressoché totale. Gli ambienti naturali e le coltivazioni tradizionali sono stati lentamente sostituiti dalla vite che, con i suoi impianti e le nuove cantine, ha occupato quasi tutte le colline. L’incremento della produzione ha reso l’Albese uno dei principali distretti vitivinicoli italiani, facendo sì da volano al turismo, ma comportando una forte perdita di biodiversità. La monocoltura viticola ha avuto impatti non solo sul paesaggio».

Si riferisce all’impiego di sostante inquinanti?

«Nel 2019 Arpa Piemonte e Ispra hanno condotto una ricerca sullo stato delle colline di Langhe e Roero e i dati emersi sono preoccupanti: l’uso di prodotti chimici ha determinato un aumento del livello di inquinamento dei corsi d’acqua e delle falde, con picchi di concentrazione significativi di principi attivi potenzialmente nocivi per la salute. A questi si aggiungono degrado dei suoli e impatto sulla qualità dell’aria, causa anch’essi di una riduzione della salubrità del territorio. Abbiamo perso tanto in termini di biodiversità, ma il processo non si ferma: anzi è accelerato dai cambiamenti climatici e l’alta Langa è oggi la nuova terra di espansione. Lo scorso anno ne abbiamo avuto conferma».

Cosa intende dire?

«In uno dei paesi ritenuti porta dell’alta Langa, teatro della lotta di Resistenza e delle narrazioni fenogliane, è in corso la costruzione di un nuovo grande insediamento vitivinicolo che impatta fortemente sul paesaggio. Oltre all’imponente cantina sono arrivati nuovi vigneti, e poi ancora, per mano di altri imprenditori, due parti significative della ricca area boschiva presente sono state cancellate, con l’intento di fare posto a ulteriori vigne. Con gli abitanti della zona e i giovani del collettivo Mononoke abbiamo organizzato manifestazioni e attività di sensibilizzazione: l’alta Langa è il nostro polmone verde e il futuro da preservare. La crisi ambientale ci costringe a mettere al centro delle priorità la nostra casa comune: la Terra».

Cosa occorrerebbe fare?

«Ambiente, agricoltura, attività umane e comunità rurali sono, da sempre, strettamente connessi: dalla capacità di metterli in relazione armoniosa dipende il nostro domani. Serve un piano complessivo di salvaguardia della biodiversità e promozione della policoltura in alta Langa, per tutelare paesaggi, tradizioni e storia. Occorre favorire forme di turismo appropriate ma, soprattutto, ripristinare una rete di servizi e botteghe, per far sì che i piccoli borghi possano avere nuova vita».  

Mercato del grano: i raccolti sono in calo per il clima

I rincari dei prezzi sono iniziati prima della guerra in atto. Gabriele Proglio è un ricercatore in storia contemporanea presso l’Università di scienze gastronomiche di Pollenzo: a inizio settembre è intervenuto a Rebel Langa, il festival organizzato a Roddino per trattare di ambiente e sostenibilità, anche sociale.

Memoria dal confine: un video per riflettere
Gabriele Proglio

Dalla platea, allestita dal collettivo Mononoke, il giovane studioso ha affrontato il rapporto fra il conflitto in Ucraina e il mercato dei cereali: due fattori esplicativi della problematica congiuntura economica attuale. «La situazione era critica, per il sovrapporsi di molteplici fattori, già prima dell’inizio del conflitto. Il prezzo del grano – e di tutti i cereali – era aumentato vertiginosamente (toccando un più 48 per cento) durante la pandemia, nel 2021, anche a causa dei cambiamenti climatici, della siccità nei Paesi produttori e della conseguente bassa produzione».

E ha aggiunto: «Il controllo e la modificazione delle sementi possono avere impatti globali, arrivando a determinare persino il default di un Paese, se la sua economia è centrata sul settore agroalimentare». Anche il territorio di Langhe e Roero, fondato in larga parte sulla prosperità del settore primario, affronta la congiuntura geopolitica in atto. «Per comprendere quale sia il potere assunto da questo comparto – e il pericolo che sta correndo il pianeta – si pensi che nel 1981 le aziende produttrici di sementi erano 7.000, mentre oggi una ventina di multinazionali governano oltre l’80 per cento del mercato globale dei semi e il 75 per cento di quello dei pesticidi». La guerra dunque ha «accelerato la crisi che ha, tuttavia, una portata più vasta e strutturale: è il risultato di un preciso sistema di produzione e distribuzione del cibo, centrato sul profitto».

Insomma non si tratta solo di Ucraina e Russia, ma del mondo intero, «la produzione agricola e di sementi, i mercati e la mancata sovranità alimentare, il fatto che milioni di persone vivano al di sotto della soglia di fame e della malnutrizione. La questione riguarda il sistema di produzione del cibo e la speculazione dei capitali finanziari sull’oscillazione dell’offerta. Concerne il rapporto dell’essere umano col futuro e con il pianeta».

Questi interrogativi incrociano i problemi posti dal cambiamento climatico, dalla disuguaglianza sociale ed economica, dal rapporto tra Nord e Sud globale. «Una cosa è certa», ha concluso Proglio, «il tempo è scaduto, le scorte di grano sono finite e si naviga verso l’esplosione della rabbia sociale, a partire dal Medio Oriente e dall’Africa».

Alì ha raccolto le uve da Barolo, fra i colli Unesco, per 3 euro l’ora

«Mi chiamo Alì, sono nato nell’Africa sub-sahariana. Sono dovuto andare via dal mio Paese per proteggere la mia famiglia; una volta al sicuro ho lasciato mia moglie e i figli e ho proseguito il viaggio». La storia del giovane, approdato fra le nostre colline, ricalca quella di migliaia di altre persone.

Vendemmia, Coldiretti Cuneo: i prezzi delle uve vanno decisi subito, non a fine campagna«Ho attraversato il deserto fino alla Libia, dove sono finito nelle prigioni delle milizie. Venti, trenta persone in gabbie molto piccole dove subisci percosse e violenze: solo se hai denaro o se qualcuno paga puoi tornare libero. Durante un trasferimento sono riuscito a scappare, e poi, grazie a un libico che ha pagato per me, mi sono imbarcato». Sul barcone, prosegue, «eravamo stipati in 250, dopo due giorni in mare siamo stati soccorsi da una nave della Marina italiana e sono arrivato in Sicilia. Da qui mi hanno portato in una città del Nord Italia: avevo il permesso di soggiorno, un lavoro e una casa con altre due persone. Cambiata la legge il mio avvocato non ha fatto quanto doveva e sono diventato un irregolare: da allora ho girato per anni la Penisola facendo lavori agricoli».

In provincia di Cuneo, dopo due anni a Saluzzo a raccogliere, sottopagato, la frutta, il giovane arriva ad Alba, per la vendemmia: «Mi sono adattato a vivere in una baracca. Alla stazione ho incontrato un capo che mi ha fatto lavorare per tre euro l’ora dieci o undici ore al giorno. Un altro mi ha fatto raccogliere a cinque euro per qualche settimana: ci trattava male e voleva che facessimo sempre più velocemente, non era mai contento».

Con l’aiuto della Caritas Alì ha potuto sistemare il permesso di soggiorno: «Da allora ho deciso di non lavorare più in campagna né in nero. Adesso ho trovato un buon posto in un’azienda artigiana, ho anche finalmente una casa, grazie al mio datore. Purtroppo operare nelle vigne oggi è brutto, ma per molti africani, come lo è stato per me, è l’unica possibilità di lavoro».  

Maria Delfino

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