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Monforte d’Alba e la storia dei suoi catari

Monforte e la storia dei suoi catari
© Vacchetto

DIBATTITO Si fa presto a dire folklore, quando si tratta di rappresentazioni che rimandano alla storia. L’etichetta – attribuita da alcune lettere inviate a Gazzetta nelle scorse settimane da Armando Botto – a Monforte non può piacere, se riferita alla rievocazione della vicenda dei catari, rieditata a settembre dopo quarant’anni con la partecipazione e l’impegno di 150 figuranti e oltre trenta persone nei compiti di supporto. Tre serate seguite da un pubblico folto.

Il rifiuto della definizione non viene da un disprezzo per il folklore, inteso come tradizione popolare, ma perché è riduttiva del lavoro «di rigorosa ricerca, studio e consulenza specializzata su cui la ricostruzione della vicenda risalente al 1028 si poggia e si poggiava. La stesura dei testi e della sceneggiatura a opera di Aldo Imarisio, Silvia Schiavenza, di don Carlo Ocole con la consulenza di Giorgio Barberi Squarotti fu l’architrave che informò le prime quattro edizioni (dal 1979 all’82) del progetto», dice Adolfo Ivaldi. «Allora, da presidente della Pro loco, riuscii a convincere il parroco, l’indimenticato don Ocole, sacerdote di sottile intelligenza teologica, aperto, integerrimo e prudente, a occuparsi della regia», proprio per evitare che si scadesse nel folk (o, per essere più chiari, nel poco serio).

L’approfondimento sulla vicenda storica dei catari a Monforte, per iniziativa degli stessi suoi promotori, ha avuto da poco un nuovo contributo: il denso e agile volume Monforte d’Alba. Storia di un’eresia, edito da Nino Aragno. Contiene in apertura il saggio aggiornato di Domenico Garelli, che ripercorre la storia dei seguaci di Ghirardo, della loro traduzione a Milano per volere dell’arcivescovo (e vicario imperiale) ambrosiano Ariberto d’Intimiano e del rogo al quale furono sottoposti nell’area che da allora porta il nome di borgo Monforte. Pagine che sono corredate (cosa rara al giorno d’oggi) da una bibliografia e, scrive Garelli nel preambolo, dalle «fonti cronachistiche originali e i testi storici e letterari (compresa la poesia Il castello di Monforte di Giovanni Berchet, ndr) a cui si fa riferimento, in modo che ognuno possa avere il piacere di farsi una opinione propria, di interpretare secondo le proprie sensibilità le fonti e i testi». Con l’intento ulteriore di stimolare anche nuove ricerche.

Un compito al quale lo stesso Ivaldi non si sottrae, a iniziare da una rivisitazione dello stesso termine di catari: «Il movimento eretico di Monforte, con il suo carattere sociale, la lotta con la Chiesa di Roma e con i poteri politici è accostabile ai catari del Sud della Francia, rispetto ai quali però fu in anticipo sui tempi di quasi un secolo e mezzo». In altre parole gli eretici langhetti potrebbero essere dei proto-catari: ancora una volta, ci sono spunti per lavorare sui documenti. Tra questi, è possibile citare il contributo del canonico Giovanni Conterno pubblicato nel ’72 dal Bollettino della Società per gli studi storici, archeologici e artistici della provincia di Cuneo, nel quale vengono evidenziati i legami tra i luoghi d’elezione delle eresie e l’area che oggi chiamiamo Granda. 

Il volume contiene anche i testi dell’album del musicista e produttore discografico Cesare Malfatti intitolato I catari di Monforte a Milano (che si può ascoltare grazie al Cd allegato alla copertina), oltre a un corposo contributo di Fredo Valla, autore del film Bogre (2021), dedicato ai bogomìli bulgari e ai loro collegamenti con i movimenti eretici occidentali. A completare l’opera una raccolta di fotografie di Bruno Murialdo, un’antologia dei luoghi e degli edifici storici di Monforte stilata da Martina libri. E il racconto, a cura di Adolfo Ivaldi, del concepimento e dello sviluppo della rievocazione, con un estratto della sceneggiatura nella versione 2022, rivista da Silvia Barberi, Giuseppina Benevelli e Silvia Schiavenza, che si è articolata in modo itinerante in tre quadri, con i figuranti che «da piazza Umberto, salgono verso il centro storico fino all’auditorium Horszowski».

La rappresentazione, come accennato, è stata seguita dai monfortesi oltre che da numerosi visitatori, italiani e non. Attori e autori hanno accolto l’apprezzamento del pubblico con gratitudine – è appena il caso di notare che c’è nulla di male se una rappresentazione attira anche turismo – ma il loro primo scopo, quest’anno come nel ’79, era far rivivere e portare all’attenzione di tutti un fatto di interesse storico che stava cadendo nell’oblio. Un lavoro che ha avuto e potrebbe avere in futuro (a Monforte si sta pensando all’edizione del millennio, nel 2028) un valore di divulgazione. Il mondo della cultura sta adottando i più diversi mezzi per arrivare alle persone, in particolare ai giovani: dalla visita di celebrità in altrettanti famosi musei, all’utilizzo del fumetto per spiegare opere d’arte o resti archeologici.

 Paolo Rastelli 

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