Festival di Venezia: il Leone d’oro va Poor things di Yorgos Lanthimos

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VENEZIA Chiude l’edizione numero 80 della Mostra del Cinema 2023 lo spagnolo La sociedad de la nieve (La società della neve), film fuori concorso di J. A. Bayona, storia estrema di sopravvivenza ambientata tra i superstiti del disastro aereo avvenuto nel 1972 nel cuore delle Ande. Nel 1972, il volo 571 delle forze aeree uruguayane, che sta trasportando una squadra di rugby in Cile, precipita nel cuore delle Ande. Scampano all’incidente solo ventinove dei quarantacinque passeggeri e 5 membri dell’equipaggio a bordo.

Intrappolati in uno dei luoghi più ostili e inaccessibili del pianeta, i sopravvissuti devono ricorrere a misure estreme e disumane per non morire. Ci sono registi che, pur realizzando un numero limitato di opere, non sbagliano un colpo. E Juan Antonio Bayona è uno di questi. Lo conferma la scelta di chiudere la rassegna cinematografica con la sua pellicola, un regista conosciuto per la varietà del suo cinema e la sua capacità di raggiungere i pubblici più disparati.

Una storia già raccontata da Alive – Sopravvissuti del 1993 e da I sopravvissuti delle Ande del 1976, che però questa volta si affida al libro omonimo del 2008 dello scrittore uruguaiano Pablo Vierci, autore del successivo Dovevo sopravvivere, scritto insieme a uno di quei 29 giovani protagonisti del dramma. Girato tra Granada e la Sierra Nevada, lo vedremo prossimamente su Netflix, dopo una prevista uscita in sala, senza il quale non ci sarebbe stato il film, a detta del regista, che torna a girare in lingua spagnola dopo 15 anni dal suo esordio.

Commenta così Bayona: «È un film sulla vita in un luogo dove la vita non è possibile. In quel posto inospitale e morto, è necessario reinventare la vita stessa. Legami, abitudini e convinzioni devono adattarsi alle terribili avversità per rivelare poi la nostra vera natura. Lì, nell’odissea sulle Ande, il racconto diventa universale rivelandoci chi siamo veramente quando, raggiunto il limite, lo spirito di squadra e il sostegno reciproco vengono alla superficie dimostrandosi il principale mezzo di sopravvivenza». Una sfida che gli ha richiesto oltre dieci anni di impegno ma il risultato è un vero capolavoro, e che già lascia il passo alla prossima: l’adattamento del libro A sangre y fuego di Manueal Chaves Nogales sulla Guerra civile spagnola che il regista dice di dovere a bisnonno e a un ambiente familiare che gli ha trasmesso «valori che nascono dal contesto storico nel quale vissero come giustizia e bontà», concetti forse messi in discussione proprio da La sociedad de la nieve.

La premiazione

Dopo undici giorni di grande cinema è giunto il momento dei Leoni, la cerimonia di premiazione che ieri sera (sabato 9 settembre) ha visto sfilare sul red carpet registi, attori e personalità internazionali. Una grande edizione nel segno di Liliana Cavani, la 90enne regista modenese che ha ritirato il Leone d’oro alla carriera, un riconoscimento conferito anche all’attore hongkonghese Tony Leung Chiu-wai, protagonista fuori concorso con il suo nuovo film L’ordine del tempo. E poi il ritorno di Sofia Coppola e Woody Allen, la nuova perla di Yorgos Lanthimos e l’arrivo al Lido di star come Jessica Chastain e Adam Driver. Un’edizione storica che ha proposto un programma di altissimo livello, ancora una volta sotto la guida esperta di Alberto Barbera. Nonostante le mille incertezze dettate dallo sciopero del sindacato americano degli attori, il principale appuntamento italiano con la settima arte si è svolto a vele spiegate tra luccicanti red carpet e la proiezione delle pellicole.

Il Leone d’oro per il miglior film viene assegnato a Poor things di Yorgos Lanthimos che narra la storia incredibile della fantastica trasformazione di Bella Baxter, una giovane donna riportata in vita dal dottor Godwin Baxter, scienziato brillante e poco ortodosso. Bella vive sotto la protezione di Baxter ma è desiderosa di imparare. Attratta dalla mondanità che le manca, fugge con Duncan Wedderburn, un avvocato scaltro e dissoluto, in una travolgente avventura che si svolge su più continenti. Libera dai pregiudizi del suo tempo, Bella cresce salda nel suo proposito di battersi per l’uguaglianza e l’emancipazione.

Aku wa sonzai shinai (Il male non esiste) di Ryusuke Hamaguchii si vede assegnare il Leone d’argento gran premio della giuria. Takumi e la figlia Hana vivono nel villaggio di Mizubiki, nei pressi di Tokyo. Come altre generazioni prima di loro, conducono una vita modesta assecondando i cicli e l’ordine della natura. Un giorno, gli abitanti del villaggio vengono a conoscenza del progetto di costruire, vicino alla casa di Takumi, un glamping, inteso a offrire ai residenti delle città una piacevole fonte di evasione nella natura. Però le intenzioni contraddittorie dell’agenzia mettono in pericolo sia l’equilibrio ecologico dell’altopiano sia lo stile di vita degli abitanti, con profonde ripercussioni sulla vita di Takumi.

Il premio Leone del futuro opera prima Venezia viene assegnato a Love is a gun di Lee Hong-Chi. Dopo essere stato rilasciato di prigione, Sweet Potato si accontenta del suo piccolo lavoro sul lungomare, vivendo dei magri incassi e ignorando i commenti di chi gli suggerisce di lasciar perdere. Viene però trascinato nel vortice del passato quando il vecchio boss che non ha mai visto di persona, la madre che ripone su di lui tutti i suoi debiti e infine l’amico Maozi ricompaiono nella sua vita. Uno dopo l’altro si impadroniscono con forza del suo presente e cancellando ogni speranza per il futuro. Solo Seven riesce, in una certa misura a mitigare le sue ansie. Un giorno, sullo sfondo di un paesaggio costiero oppressivo e carico di smog, a Sweet Potato viene finalmente concesso un incontro col boss e la sua vita prenderà una piega inaspettata.

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Il Leone d’argento per la migliore regia va a Matteo Garrone col film Io capitano, che racconta il viaggio avventuroso di Seydou e Moussa, due giovani che lasciano Dakar per raggiungere l’Europa. Un’Odissea contemporanea attraverso le insidie del deserto, gli orrori dei centri di detenzione in Libia e i pericoli del mare. Garrone, nei ringraziamenti, dedica il Leone d’argento a tutte le vittime in mare per raggiungere Lampedusa e ricorda la tragedia del terremoto in Marocco.

Il Premio speciale giuria al film Zielona granica (Il confine verde) di Agnieszka Holland. Una pellicola ambientata nelle insidiose foreste paludose che costituiscono il cosiddetto confine verde tra Bielorussia e Polonia, dove i rifugiati provenienti dal Medio Oriente e dall’Africa che cercano di raggiungere l’Unione Europea si trovano intrappolati in una crisi geopolitica.

Per la sezione Orizzonti il premio come migliore film viene assegnato al film Magyarázat mindenre (Una spiegazione per tutto) di Gábor Reisz. Ambientato a Budapest, Abel, studente liceale, cerca di concentrarsi sugli esami finali, mentre si sta rendendo conto di essere perdutamente innamorato di Janka, la sua migliore amica. A sua volta, Janka è innamorata, non corrisposta, di Jakab, professore di storia, sposato, che ha avuto in passato un diverbio con il padre conservatore di Abel. Le tensioni di una società polarizzata vengono inaspettatamente a galla quando l’esame di storia di Abel si risolve in uno scandalo nazionale.

Si conclude così l’80ma Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, nella quale sono stati selezionati moltissimi film, alcuni dei quali anche di durata considerevole, dove l’inclusione, la diversità, l’immigrazione, l’integrazione, le molteplici problematiche giovanili, la tenerezza e l’amore hanno fatto da sfondo all’intero festival.

Walter Colombo, inviato a Venezia

 

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