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Il mio viaggio a Sud tra i bambini del Togo, nella Valle dei pipistrelli

Il mio viaggio a Sud tra i bambini del Togo, nella Valle dei pipistrelli 1
Foto Elisa Pira

IL REPORTAGE L’itinerario africano di volontariato della nostra collaboratrice Elisa Pira ci porta nel villaggio di Kuma Tsame, dove una giovane donna braidese, Susanna Salerno, ha creato La maison sans frontières per bimbi e ragazzi abbandonati o disagiati.

Quest’anno l’inverno mi ha condotta a Sud, come le rondini. Ancora una volta ho scelto di viaggiare nella maniera che mi riesce meglio, trascurando i luoghi e concentrandomi sulle persone.

Ho assecondato il mio desiderio di tornare in Africa, un continente che mi sta particolarmente a cuore, e nella scelta della destinazione hanno influito i miei studi di antropologia e le mie letture: la rotta dello schiavismo e l’interesse per il popolo Ashanti e le sue antiche tradizioni mi ha fatto optare per il Ghana.

Come sempre, ho programmato il meno possibile, lasciando il viaggio libero di fluire, aprendolo ai cambiamenti. E così, durante la laboriosa ricerca di un progetto di volontariato al quale partecipare una volta sul posto, per entrare in contatto con le popolazioni locali per conoscere la realtà del luogo, mi sono imbattuta nel sito Internet della Maison sans frontières, un progetto che si sviluppa non nel Ghana, bensì nel vicino Togo. Ad attrarre la mia attenzione è stato il fatto che l’artefice del progetto sia braidese.

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Foto Elisa Pira

Non ho perso tempo e ho contattato Susanna Salerno per conoscerla di persona, visto che stava trascorrendo l’inverno a casa per motivi di studio. Non ho impiegato molto tempo a convincermi, lasciandomi travolgere dal suo entusiasmo: la prima destinazione del mio viaggio è diventata il Togo, in particolare il villaggio di Kuma Tsame, dove Salerno ha creato la casa d’accoglienza. È lì che ho programmato le prime settimane del mio viaggio, per poi raggiungere, via terra, il Ghana.

Al mio arrivo nella capitale, Lomé, mi sono ritrovata avvolta dal caldo e dalla polvere, che subito mi sono lasciata alle spalle per spostarmi verso la regione degli altipiani, dove il progetto ha sede. Una lunga strada procede diritta, tagliando la vegetazione lussureggiante del Togo. Un paio d’ore dopo sono arrivata al villaggio.

Tutt’intorno, la brousse: qui, alti alberi di teak e palme si intervallano a coltivazioni di cacao, ananas, manioca e igname (una pianta erbacea rampicante coltivata per il consumo dei tuberi amidacei in molte regioni del mondo temperate e tropicali, specialmente in Africa, Asia e Oceania, ndr).

Al cancello della Maison, al termine di una strada sterrata particolarmente impervia, mi sono venuti incontro Séba ed Espoir, pronti a farsi carico dei miei bagagli. Pochi minuti dopo li seguivo alla fontana a prendere l’acqua, di cui si caricano sul capo enormi recipienti di plastica colmi fino all’orlo.

Alla Maison sans frontières vivono tredici bambini e ragazzi, che hanno dai cinque ai diciannove anni: una grande famiglia.

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Le giornate si trascorrono tutti insieme, in una routine fatta di doveri – dall’accensione del fuoco alle pulizie –, ma anche di diritti, quelli del- l’infanzia: pasti caldi, un letto pulito in uno spazio sicuro e poi lo studio nelle scuole dei villaggi limitrofi. Alla Maison tutto è organizzato e funziona: i bambini rispettano i turni per le faccende domestiche, fanno i compiti, ma sono pur sempre piccoli e non si sottraggono a liti e capricci e, soprattutto, al gioco: il pallone è il più ambito.

Nonostante il loro ingresso turbolento nella vita, portano tutti nomi beneauguranti, in francese o nella lingua parlata localmente, l’ewé: Espoir (Speranza), Blessing (Benedizione), Merveille (Meraviglia), Yahyra (Benedetta), Djedjome (Gioia), Mokpokpo (Speranza).

A questi nomi, in Togo si aggiunge quello che identifica il giorno in cui si è nati: Séba mi spiega che io sono Adjou, colei che è nata il lunedì.

Dei ragazzi si occupano gli educatori, dei pasti le cuoche, il giardiniere cura il giardino e l’orto, che dà ottimi insalate e dolci pomodori. Al mattino la sveglia suona presto, per alcuni di loro già alle 4.30, perché occorre accendere il fuoco per riscaldare l’acqua necessaria a lavarsi. Poi tutti a scuola, che per qualcuno è lontana, anche a un’ora di cammino, nella limitrofa cittadina di Kpalimé.

Nel fine settimana non ci sono lezioni, ma le attività nella casa non mancano affatto e sono aperte anche ai bimbi del villaggio: il sabato c’è scuola di acrobazie, mentre la domenica si imparano le percussioni, in cui Espoir eccelle, e le danze afro, per esempio.

La sera, all’imbrunire, ha inizio il momento della giornata che preferisco. Gli enormi pipistrelli che per tutta la giornata affollano silenziosi e sonnolenti, a testa in giù, i rami più alti degli alberi – siamo nella cosiddetta Valle dei pipistrelli, dove questi animali sono considerati sacri –, spiccano il volo, riempiendo il cielo di nugoli scuri. Dopo la doccia, particolarmente piacevole visto il caldo inclemente che fin dalle prime ore arroventa l’aria, arriva il momento della cena, nella cucina all’aperto.

Quindi si fanno i compiti o quattro chiacchiere o qualche lettura, prima di andare a dormire, alle 20.30, quando ormai la notte qui è densa e le temperature concedono una tregua.

Alla Maison sans frontières, ogni bambino porta con sé un passato difficile, di disagio fisico o psicologico, l’abbandono sembra accomunarli tutti. Eppure, se quanto è stato nessuno potrà cancellarlo, qui ciascuno di loro affronta un presente dignitoso, in una condizione di sostegno e accudimento amorevole: vivendo e godendo della sua infanzia, ognuno di loro può finalmente immaginare un futuro degno di essere vissuto.

Il mondo forse non lo si trasforma, né da soli né in gruppo, ma si può sempre diventare motore di cambiamento.

Susanna: 1 euro vale la colazione per cinque

La donna che ha dato vita alla Maison sans frontières è Susanna Salerno, 34 anni, originaria di Bra. Da dodici anni è impegnata nel sostegno dei bambini in Togo, dove trascorre il suo tempo.

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Foto Elisa Pira

Che cos’è e come nasce il progetto della Maison sans frontières, Salerno?

«È una casa d’accoglienza per bambini che vivono situazioni disagiate in famiglia. Accogliamo bambini abbandonati, denutriti, vittime di violenza o orfani. La Maison non si limita a ospitarli, ma offre loro cibo e riparo. È anche una famiglia: vuole creare una quotidianità e garantire il diritto all’infanzia, fornendo gli strumenti per un corretto passaggio all’età adulta. Nasce da un sogno a occhi aperti. Il 25 dicembre del 2012 mi trovavo in Togo con alcuni bambini del villaggio e ho pensato per la prima volta a una casa in cui far vivere quei piccoli, che stavano crescendo troppo in fretta, abbandonando l’infanzia a causa di situazioni per loro fuori controllo. Quel giorno l’Africa ha piantato un seme nel mio cuore. Sono tornata in Europa e ho lavorato per un periodo: con quel guadagno e il ricavato di alcuni mercatini dell’usato sono tornata, pronta a mettermi all’opera».

Quali sono gli obiettivi che la Maison si pone oggi?

«Il nostro obiettivo più ambizioso è l’autonomia. È il più difficile da raggiungere, in quanto il Togo è uno dei Paesi più poveri dell’Africa. La gente vive di agricoltura e piccoli commerci. L’autonomia energetica ci sembrava possibile, ma non si trova materiale di buona qualità e i guasti si susseguono, per cui siamo ancora vincolati alla corrente elettrica del villaggio (soggetta a ripetute, prolungate interruzioni). Anche l’autonomia alimentare è difficile: la coltivazione biologica richiede cure e abilità, il caldo è impietoso, i volontari non sono sufficienti. Inoltre, spesso manca l’acqua per irrigare. Anche l’allevamento richiede attenzioni e comporta costi, mentre il bestiame è a rischio di furto. Per risolvere queste problematiche serve denaro, ma non solo: è indispensabile fare formazione, a partire dai valori sui quali la Maison si fonda per portare avanti i progetti: il rispetto reciproco, l’onestà, l’amore. Non ultimo, c’è l’esempio».

Quali sono i tuoi progetti e come pensi di realizzarli?

«Occorre sistemare il ponte e le canalette di scolo della strada, che non fanno defluire l’acqua come dovrebbero. Di recente, abbiamo realizzato Wc ecologici, che ci hanno permesso di avere una buona quantità di compost con il quale penso di concimare i terreni per proporre la coltivazione di mais, manioca, patate dolci e igname. Vorrei creare uno spazio relax per i bambini; adibire una delle nostre capanne a rifugio per quando sono arrabbiati, offesi o frustrati e hanno bisogno di ritrovare serenità. Infine, mi piacerebbe creare un atelier di cucito per i ragazzi più grandi, sia del centro che del villaggio, e magari organizzare corsi estivi, creando un laboratorio di falegnameria o di arte».

In che modo è possibile sostenere il tuo progetto?

«Anzitutto con il passaparola: se tu non puoi aiutarci, chiedi a qualcun altro, magari lui può farlo. Il modo migliore è recarsi sul posto, come hai fatto tu: attraverso la conoscenza di altre culture riusciamo a rompere le barriere. Attraverso il dialogo interculturale si costruiscono i ponti che aiuteranno a lasciarci alle spalle i pregiudizi. Venire alla Maison sans frontières per farsi conoscere, per parlare e vivere con i bambini e la gente del posto è un’occasione di aiuto reciproco. I contributi economici però ci aiutano a mantenere vivo il progetto e a svilupparlo. Una piccola donazione è sempre gradita: con un solo euro possiamo acquistare cinque quaderni scolastici o assicurare la colazione ad altrettanti bambini. Anche il 5 per mille è un valido sostegno per noi».

Tutte le informazioni sulla Maison sans frontières di Kuma Tsame Totsi in Togo e le modalità per sostenerla sono visionabili sul sito Web www.volontaritogo.org.  

Elisa Pira

 

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