
ALBA Vicolo Provvidenza è una stradina che collega via General Govone a via Accademia. Tra abitazioni private, con giardini che si intravedono dai cancelli, si arriva sul retro dell’asilo Città di Alba e del teatro Sociale, con il cancello in ferro. È una via centrale, ma appartata, dove passa soprattutto chi abita o lavora in zona. Non solo, a quanto pare.
Sono stati alcuni residenti a segnalare a Gazzetta d’Alba un fatto accaduto alcuni giorni prima: dalla sommità del teatro, a cui si accede dall’arena esterna, sono stati gettati calcinacci pesanti
Sono stati alcuni residenti, la scorsa settimana, a segnalare a Gazzetta d’Alba un fatto accaduto alcuni giorni prima: dalla sommità del teatro, a cui si accede dall’arena esterna, sono stati gettati calcinacci pesanti, forse staccati dallo stesso edificio. Così racconta una donna: «Purtroppo conviviamo con questa situazione da parecchio tempo. Visto che la via è nascosta, è diventata il luogo ideale in cui ragazzi molto giovani si appartano, soprattutto di sera. Non ci sarebbero problemi, se non imbrattassero le case con graffiti. Non solo: lasciano spesso rifiuti e conviviamo con schiamazzi. Questa volta, però, siamo andati oltre».
Si arriva ai calcinacci: «Tutti sanno che questi gruppetti scavalcano il cancello sul retro dell’arena, che di recente è già stato cambiato, senza risolvere il problema. In passato, hanno già lanciato dall’alto cubetti di porfido e bottiglie. Alcuni giorni fa, abbiamo sentito un grande boato, che ci ha spaventati. Erano circa le ventidue. Siamo usciti e abbiamo visto il pezzo di cemento. Avrebbe potuto colpire chiunque o danneggiare le auto parcheggiate».

Aggiunge la donna: «Le nostre telecamere, che abbiamo installato proprio per monitorare questa situazione, li hanno ripresi mentre scappavano. Sono giovanissimi. Dai loro discorsi, si intuisce la totale assenza di consapevolezza nei confronti di un gesto del genere: si preoccupano di non fare rumore scavalcando il cancello e non del rischio di poter fare del male ad altri».
«Le nostre telecamere, che abbiamo installato proprio per monitorare questa situazione, li hanno ripresi mentre scappavano. Sono giovanissimi. Dai loro discorsi, si intuisce la totale assenza di consapevolezza nei confronti di un gesto del genere»
Un episodio che apre scenari che vanno al di là della cronaca: «Sono mamma anche io. Non voglio puntare il dito contro i giovani e nemmeno generalizzare. Ma mi sconcerta non poco quanto accaduto e vorrei aprire una riflessione sul tema». Diverso il discorso delle segnalazioni alle Forze dell’ordine: «Con la Municipale, non abbiamo avuto riscontri. Com’è evidente, non bastano le telecamere e non serve intervenire a posteriori. Abbiamo anche provato a contattare il sindaco, senza risposta. Abbiamo segnalato l’ultimo fatto ai Carabinieri, per capire se si può fare ufficialmente denuncia».
Al mattino, in vicolo Provvidenza si sentono le voci dei bambini dell’asilo. I calcinacci sono appoggiati a un muro. Pochi passi e si arriva in via Accademia. Da qui, a via Vittorio Emanuele. Il centro di Alba manifesta, anche in altre zone, problemi di convivenza con gruppi di giovani. Non accade nelle vie principali, ma in quelle nascoste, meno frequentate.
C’è chi parla di via Alerino Como, davanti alla chiesa delle Luigine, ma anche di via Cuneo, diventata uno dei luoghi della movida, soprattutto nel fine settimana. Pare che il cortile della Maddalena, quando non ci sono manifestazioni, sia interessato da una situazione simile, così come il cortile del convitto, dove si trova il parcheggio.
Dice un uomo che abita a pochi passi da via Cuneo: «Abbiamo segnalato parecchie volte il problema degli schiamazzi, che proseguono anche dopo la chiusura dei locali. A volte vedo passare le auto della Polizia municipale, ma credo che l’Amministrazione dovrebbe intervenire per regolare la situazione alla base: non è possibile che i residenti debbano segnalare ogni volta un problema già noto e in più molto circoscritto». E aggiunge: «Capisco che in questa città non esistano molti luoghi per i giovani ed è importante che vivano lo spazio pubblico, ma questo non è certo il modo giusto: sarebbe importante confrontarsi e trovare iniziative mirate».
INCASTRATI DALLE TELECAMERE
«Non parlerei di microcriminalità, ma di un fenomeno diverso, di cui siamo a conoscenza». Lo dice Antonio Di Ciancia, comandante della Polizia municipale albese.
Sull’episodio in vicolo Provvidenza, prosegue: «Il primo problema è che coppie o gruppetti di giovani continuano a scalvare il cancello sul retro del teatro. Alcuni si appartano sulle scalinate dell’arena, lasciando al massimo qualche bottiglia vuota. Ciò che è accaduto nei giorni scorsi si pone ancora su un altro livello. Tramite le telecamere presenti nell’area, collegate con il circuito comunale, siamo riusciti a identificare alcuni dei responsabili. Hanno tutti tra 15 e 16 anni, studenti degli istituti superiori cittadini». Di Ciancia dice che i ragazzi sono già stati diffidati e sono state informate le famiglie. «A volte, per questi e altri episodi, ci capita di contattare i genitori e di trovarci di fronte alle loro espressioni perplesse, come se non fossero informati dei comportamenti dei propri figli».
IL CRIMONOLOGO BERTOLUZZO: «OGGI I GIOVANI ESAGERANO IN TUTTO»
Il consorzio socioassistenziale Alba Langhe e Roero è l’ente che, tra le varie funzioni, si occupa di minori, con riferimento alle situazioni critiche. Il direttore è Marco Bertoluzzo, criminologo di formazione, che si è occupato per vari progetti del tema delle bande giovanili, soprattutto a Torino. Per capire meglio il contesto del centro storico albese, lo abbiamo intervistato.
Bertoluzzo, si può parlare di baby gang ad Alba?
«Ci è stata segnalata, negli ultimi anni, la presenza di gruppetti che creano problemi, anche a danno dei coetanei. Ma non parlerei di baby gang. Queste ultime, come dice il nome stesso, sono strutturate come vere e proprie bande, con un’impostazione gerarchica, regole interne, piccoli rituali. Sono gruppi mossi da un’opposizione sociale molto forte, come accade nelle periferie delle grandi città, soprattutto se pensiamo a periodi tumultuosi degli ultimi decenni. Nel caso dei nostri centri, direi che dobbiamo ragionare in termini più estesi».
Che cosa intende dire?
«Parlerei di giovani senza il senso del limite e della responsabilità verso le proprie azioni. È venuta meno anche la distanza nei confronti degli adulti, privi della loro autorità. È così che buttare giù un calcinaccio dal tetto di un teatro, nel quale si è entrati abusivamente, diventa un fatto di poca importanza».

Come si è arrivati a a questa situazione?
«Le prime responsabilità vanno ricercate all’interno delle famiglie, ma non con riferimento ai singoli casi. Proprio perché ci riferiamo spesso a ragazzi e ragazze che non provengono da contesti difficili, va messo in discussione il modo stesso in cui molti genitori si relazionano con i propri figli. La sociologia ci è di aiuto: siamo passati dalla famiglia normativa, in cui i genitori davano delle regole molto chiare, alla famiglia iperprotettiva degli ultimi vent’anni. I comportamenti dei figli, anche se molto sbagliati, tendono a essere giustificati, dai brutti voti a scuola agli insuccessi nello sport. Gli adolescenti vengono deresponsabilizzati e perdono il rispetto nei confronti del mondo adulto. Spesso non hanno orari, possono entrare e uscire liberamente. Pensano di non correre rischi e di essere sempre tutelati».
Si può anche pensare a un’emulazione di quanto circola sui social network?
«Questo è un altro problema, su cui è importante vigilare. I social e in generale Internet, che sono senza dubbio una risorsa da molti punti di vista, diventano anche un ricettacolo di video violenti, che contribuiscono a nutrire questo senso di esagerazione costante. Per non parlare dell’alcol e delle sostanze stupefacenti, che circolano anche tra minorenni e che contribuiscono alla perdita del senso del limite».
Se questo è lo scenario, da dove bisogna partire per affrontare il problema?
«Prima di tutto, bisogna recuperare il concetto di presidio, a partire dalle famiglie. È necessario che i genitori siano consapevoli della vita dei propri figli. Lo stesso concetto serve per chi si occupa del controllo del territorio, come i Vigili: le telecamere non sono sufficienti e hanno dimostrato i propri limiti. Ci vuole una presenza nei luoghi interessati dal fenomeno, magari attraverso progetti mirati ai giovani. In piazza Pertinace, per esempio, esiste un’iniziativa per prevenire e sensibilizzare sul consumo di alcol».
E a livello di politiche rivolte ai ragazzi?
«In una zona come la nostra, con una città che funge da riferimento per il circondario, bisognerebbe iniziare a ragionare in un’ottica territoriale. E soprattutto chiedere ai ragazzi che cosa vorrebbero per vivere meglio la loro città. Le iniziative proposte in modo unilaterale non suscitano più interesse. I giovani vanno coinvolti, fin dalla progettazione e dalla realizzazione. La sociologia ci aiuta ancora: si tende a rovinare ciò che non viene percepito come proprio».
Francesca Pinaffo