Carcere / Ad Alba i cancelli del Montalto potrebbero riaprire nel 2025

Il Montaldo potrebbe diventare un polo di supporto capace di alleviare la pressione su alcune strutture torinesi al collasso

Se al carcere Montalto non partono interventi

IN CARCERE Cosa accade nel territorio? Secondo i dati forniti a Gazzetta d’Alba dal garante regionale dei detenuti Bruno Mellano, in Piemonte sono presenti 4.346 detenuti, rispetto a una capienza ufficiale di 3.979 posti. Il tasso di sovraffollamento dunque è pari al 109 per cento.

Del totale dei carcerati, 369 sono nella struttura di Cuneo, 104 in quella di Fossano e 338 in quella di Saluzzo (dove sono detenuti perlopiù italiani con pene legate a reati di mafia e condannati per 41bis). Ad Alba la situazione sembra migliorare rispetto al panorama nazionale e regionale, anche perché nella Casa di reclusione Giuseppe Montalto (trasformata in casa lavoro) oggi sono presenti soltanto 41 detenuti (con un totale di 88 agenti presenti), su una capienza ufficiale pari a 138.

Perché questa discrepanza? Come ha spiegato Mellano, «uno dei tre padiglioni della struttura è chiuso da inizio 2016. Le vicissitudini strutturali che hanno coinvolto la casa di reclusione sono complesse e affondano le radici negli scorsi anni, quando un’epidemia di legionella costrinse alla chiusura del carcere. L’allora sindaco e le autorità competenti decisero un intervento drastico: l’unico modo per eliminare il batterio era creare shock termici sufficientemente forti da uccidere i microrganismi. Purtroppo i risultati non furono quelli sperati».

«Alcune tubature subirono danni significativi e sezioni della struttura furono danneggiate, per esempio l’archivio cartaceo finì sott’acqua. Dopo molti interventi e iter burocratici, finalmente abbiamo una data di fine lavori: entro il 2024 o al massimo i primi mesi del 2025».

Mellano prosegue descrivendo l’attuale assetto dell’edificio: «Una palazzina è dedicata a persone in semilibertà, con un lavoro all’esterno o all’interno del carcere. L’altra area è la cosiddetta casa-lavoro, abitata da persone non detenute ma internate, a cui è stata attribuita l’etichetta della cosiddetta “pericolosità sociale”. Si tratta di una misura nata in passato per contrastare gli oppositori politici, in altre parole uno status fuori dal tempo, un residuato bellico senza ancoraggio nel presente. Parliamo pertanto di persone che hanno scontato la pena e transitano da un padiglione normale alla casa lavoro, che di fatto non ha nulla di diverso dal carcere. Dobbiamo rivedere questo meccanismo, in cui molti rimangono intrappolati e non hanno possibilità di intraprendere reali percorsi di risocializzazione e reinserimento nella comunità».

Per quanto riguarda la situazione del carcere di Alba, il garante afferma che «i problemi principali a oggi sono di natura sanitaria, visto che il servizio medico è presente 12 ore al giorno, ma per tutte le situazioni critiche che accadono di notte o comunque fuori dall’orario di copertura bisogna ricorrere alla guardia medica, che interviene quando può, non sempre riesce a farlo in modo tempestivo o deve gestire un carico di lavoro troppo elevato e non riesce a soddisfare la domanda complessiva. Anche il personale penitenziario si trova in difficoltà, soprattutto nella gestione delle criticità legate alle condizioni di salute mentale dei detenuti. La nota positiva è che il Consorzio socioassistenziale attiverà nelle prossime settimane un servizio di supporto, che potrebbe migliorare la situazione».

A livello piemontese, prosegue Mellano, la situazione è più difficile: «A Torino per esempio il tasso di sovraffollamento è elevato. Alba in futuro potrebbe diventare un polo di supporto, in modo da alleviare la pressione su alcune strutture torinesi».

In Regione si moltiplica il disagio dei detenuti, mancano figure mediche essenziali come i dentisti, pochi gli spazi attrezzati in modo adeguato, le biblioteche o le sale lettura, i percorsi formativi o di inserimento lavorativo. Molti carcerati assumono stabilizzanti dell’umore, antipsicotici o antidepressivi (circa uno su 5 a livello nazionale), oppure sedativi o ipnotici (quasi una persona su due).

Mellano conclude osservando come «sovente ascoltiamo nei telegiornali o leggiamo sui giornali di “terribili rivolte” nelle carceri, ma se andiamo ad approfondire questi avvenimenti scopriamo che sono stati causati da episodi commoventi, come un detenuto che aspettava da sei mesi un dentista (sfido chiunque a rimanere anche solo qualche giorno col mal di denti senza ricevere cure adeguate). Il carcere non deve peggiorare la vita a persone che hanno già difficoltà, ma diventare un’opportunità per l’intera comunità di prendersi cura di loro generando opportunità».

 Maria Delfino

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