
ALBA Patrizia Valduga e Daniele di Bonaventura con Uno strato di buio, uno di luce uniranno la poesia alla musica per il festival Profondo umano. Lo spettacolo, prima data di una settimana intensa è in programma per venerdì 20 settembre alle 21 nel teatro Giorgio Busca. I biglietti sono disponibili alla libreria La Torre o su ticket.it.
Secondo Francesco Cordero, presidente di Intonando, «Patrizia Valduga, pur essendo l’unica, grande voce della poesia italiana contemporanea a rimanere fedele alla nostra grande tradizione metrica, raccolta dopo raccolta ha sprigionato una qualità poetica d’avanguardia, originalissima e molto comunicativa. Ogni sua poesia, che sia d’amore o di invettiva politica, sia erotica o ironica, riesce sempre a catturare il lettore d’oggi».
Se si chiede a Patrizia Valduga cosa dovranno aspettarsi gli spettatori, risponde: «Non è uno spettacolo: è meno, molto meno… Leggerò, dal libro della mente, un bel po’ di Donna di dolori, monologo uscito nel lontanissimo 1991, e Daniele Di Bonaventura suonerà la sua musica. L’idea di metterci insieme è venuta all’associazione Caligola, che organizza concerti e pubblica dischi, soprattutto di musica jazz. Volevo uno strumento povero, come quelli degli spettacoli di Tadeusz Kantor… e il bandoneon mi piace, assomiglia un po’ alla fisarmonica».
Quale messaggio vorreste trasmettere?
«L’unica cosa che vorremmo trasmettere è quella che ogni arte dovrebbe trasmettere: la gioia, quella gioia che si prova quando pensiero e sentimento sono una e la stessa cosa, quella gioia che (per usare le parole di Giovanni Raboni), è “la più pura, la più sottile, la più perfetta delle gioie”. Un artista sa che, se gli dà gioia, quello che ha fatto ha un qualche valore, e che il lettore o l’ascoltatore proverà la stessa identica gioia, pura perché disinteressata, sottile perché va in profondità, perfetta perché compie un’unione di anime».
Che cos’è per lei il rito, quale funzione ha avuto nella sua vita?
«Il rito lo lascio alle sacerdotesse del poetico e alla loro affezionata clientela: io sono molto terra-terra».
Quale spazio la poesia può trovare oggi?
«Ma cosa c’è di diverso, oggi, rispetto al passato, anche remotissimo? La poesia è sempre stata una cosa per pochi, e i grandi poeti sono sempre stati pochissimi, pochi i piccoli, e tanti, tantissimi gli insipidi epigoni. E sono sempre gli insipidi epigoni a godere dei favori del pubblico. I grandi si sono sempre scoperti “dopo”. Se un poeta diventa “famoso”, grande o piccolo che sia, è sempre per ragioni estrinseche alla sua opera: perché ha la gobba, perché è mezzo matto, perché è in sedia a rotelle, perché si è suicidato, perché è morto ammazzato… È più alla critica, secondo me, che si dovrebbe pensare con qualche apprensione: industria editoriale e mass media l’hanno un po’ alla volta eliminata, ma se ci guadagnano, il guadagno è effimero, stagionale, come in quei baracconi commerciali che sono le fiere e i saloni… Il risultato vero è che i lettori sono sempre meno e gli “scrittori” sempre di più. Ecco, oggi vediamo il trionfo del dilettantismo di massa, cioè una perfetta, patetica frustrazione di massa».
Matteo Viberti