Vito Mancuso ospite di Profondo umano: «Recuperiamo ideali e senso del dovere»

Profondo umano: Intonando rivaluta l’errore 2
Il filosofo Vito Mancuso

L’INTERVISTA Il teologo e filosofo Vito Mancuso stasera, giovedì 12 settembre (alle 21), sarà al teatro Giorgio Busca per l’intervento “Come risacralizzare il cosmo. La scomparsa e la rinascita dei riti”. L’incontro fa parte di Profondo umano, festival della corale Intonando. Il biglietto è acquistabile su www.ticket.it oppure alla libreria La torre.

È ancora possibile recuperare la forza del rito, oppure questa dimensione può dirsi scomparsa?

«Una distinzione preliminare: a livello soggettivo, il vissuto cambia se abitiamo in una grande città o in una zona di campagna, al Nord oppure al Sud, perché il contesto culturale e sociale incide in maniera profonda sulle nostre percezioni. Fatta questa premessa, è indubbio che il paradigma che per secoli ha gestito la ritualità delle persone ha smesso di funzionare. Con paradigma mi riferisco a una parola che si impone alla coscienza, un dettame a cui le persone obbediscono in maniera più o meno conscia. Solo se esistono queste condizioni è possibile avviare un processo di ritualizzazione. Il rito accade di fronte all’obbedienza della mente. Prendiamo i tifosi della domenica, gli ultras della curva: la fede calcistica non si mette in discussione. Il rito presuppone una fede forte, assoluta, che induce la persona a mettere da parte la propria personale opinione per aderire all’immagine proposta dalla collettività. Negli ultimi decenni abbiamo assistito a una palese estinzione della religione tradizionale, paradigma dominante per secoli nelle nostre società. La ritualità, di conseguenza, è venuta meno».

Si tratta di un cambiamento positivo o negativo?

«I fenomeni assumono sempre una declinazione sia positiva che negativa. La parte negativa rispetto alla perdita della ritualità consiste nella frammentazione del tessuto sociale. Ognuno cammina sulla propria strada, manca un senso di coesione e aumenta quello di estraneità, siamo tutti stranieri morali verso gli altri. Non esiste più un codice unico, un filo rosso che induce a dire “va bene così”. Tutto diventa relativo e non c’è più nulla su cui si dice, come un tempo, “questo è Vangelo”. L’aspetto positivo della trasformazione riguarda la possibilità delle minoranze di affermare sé stesse. Una società fondata sulla religione creava il concetto di eretico e di “sbagliato”, veniva represso tutto ciò che si discostava dal paradigma dominante dal punto di vista sessuale, politico o religioso. Oggi chi ha inclinazioni o posizioni differenti dalla maggioranza lo può manifestare serenamente».

Come recuperare coesione e vicinanza sociale?

«Bisogna partire dalla politica. La classe dirigente dovrebbe comprendere che l’emergenza etica ormai è tale da richiedere nelle scuole un intervento pedagogico strutturato, organico e continuativo. Questo deve accadere a partire dalla materna fino all’università. Una soluzione potrebbe essere la creazione di una costituente etica, di processi di revisione dell’esistente che sappiano rifondare i valori di partenza su cui ci muoviamo. I ragazzi non hanno più una guida, le scuole forniscono istruzione (quando va bene) e quasi mai educazione. Sono solo l’educazione, gli ideali e i valori che ci portano a generare riti, bellezza e giustizia. Penso anche che dovremmo scrivere una nuova “dichiarazione universale dei doveri dell’essere umano”. Tutti reclamano i propri diritti, mentre il senso del dovere perde di potenza e svanisce all’orizzonte».  

Matteo Viberti

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