UNIONE EUROPEA Con quello che capita nel mondo e le guerre che crescono di intensità, senza prospettive di pace e sicurezza, non stupisce che il morale dei popoli non sia dei migliori. Un sentimento che si registra anche in un pezzo di mondo, l’Unione europea: uno dei rari che hanno vissuto un così lungo periodo di pace e dove le condizioni di vita e di libertà restano tra le migliori del Pianeta.
È pur vero che l’Unione europea non è un’isola, che non può essere felice quando tutt’intorno il mare è in tempesta e crescono le minacce anche per una realtà organizzata per proteggersi ma comunque esposta a ricadute politiche, economiche, ambientali e sociali difficili da contrastare.
A conferma di questo clima non proprio rassicurante rispondono i risultati di un recente sondaggio, l’Eurobarometro promosso dal Parlamento europeo dopo le elezioni di giugno, che racconta di cittadini europei tiepidi nei confronti dell’Unione e, tra questi, particolarmente critici gli italiani dei quali solo il 66% ritengono che “l’azione dell’Ue abbia un impatto sulla loro vita quotidiana”, a fronte di un 72% dei nostri concittadini europei, e solo il 62% degli italiani ritiene che ritiene l’Italia un Paese importante nell’Unione, contro il 67% della media europea. E, contrariamente alla narrazione oggi prevalente, solo il 38% ritiene che la voce dell’Italia conti a Bruxelles, contro la media europea del 56%.
Sono dati, anche se fragili come nel caso dei sondaggi, che fanno riflettere: da una parte perché non corrispondono affatto alla retorica politica della maggioranza di Governo e, dall’altra, perché l’Italia è stata beneficiaria in questi ultimi anni di un sostegno finanziario straordinario, quello che ha destinato all’Italia 191 miliardi di euro per il “Piano nazionale di ripresa e resilienza” (Pnrr), di gran lunga il volume maggiore di risorse finanziarie rispetto agli altri Paesi Ue.
Capire le ragioni di questo atteggiamento potrebbe aiutare a capire qualcosa di più di questo Belpaese, forse poco informato sui dati reali della politica o, forse, ingannato da chi esalta la “Nazione”, dimenticandone le storiche fragilità e i vantaggi ricavati dalla libera adesione all’Ue, una realtà politica ed economica che cerca nella coesione e nella solidarietà il benessere di tutti i suoi Paesi membri.
Non che non ci siano motivi di inquietudine per quanto sta accadendo e i risultati, questi incontestabili, delle elezioni di giugno per il Parlamento europeo lo confermano. A cominciare dalla scarsa partecipazione al voto, con l’Italia scesa al 48,31% e con la media europea appena al 50,74% degli aventi diritto al voto. Già questo dice quanto ridotta sia la fiducia nel progetto comunitario in una stagione nella quale il 42% degli elettori europei ha come prima preoccupazione l’esplosione del costo della vita e il 41%, più in generale, la situazione economica: percentuali che crescono per l’Italia, rispettivamente al 48% e al 51%.
Ma non mancano altre preoccupazioni non trascurabili come, in ordine decrescente, la situazione internazionale (37%), la precaria salute della democrazia (32%), il clima, la sicurezza e la migrazione (28%). Quest’ultima preoccupazione sorprende nel raffronto tra Germania e Italia: molto alta in Germania per il 44% degli intervistati, molto ridotta con solo il 19% in questo nostro Paese dove il tema è sistematicamente cavalcato per alimentare paure e misure punitive, come ancora nel recente decreto sicurezza.
Un ultimo dato, tra altri del sondaggio, per incoraggiare la speranza: è aumentata nell’UE la prevalenza nel voto la dimensione europea, salita di quattro punti al 47%, rispetto al 42% che ha votato guardando alla dimensione nazionale.
Non è ancora la maggioranza ma ci stiamo avvicinando a capire che a giugno eravamo chiamati a votare per l’Unione Europea, un’altra più grande e promettente prospettiva di quanto possano essere le singole Nazioni.
Franco Chittolina