
IN LIBRERIA «Tremila anni fa, una semplice clava era un utensile o un’arma? Dipende dall’utilizzo che se ne faceva»: sono parole di padre Paolo Benanti, presbitero e teologo italiano del Terzo ordine regolare di San Francesco, docente universitario in Italia e oltreoceano, ma anche attuale consigliere di papa Francesco sugli aspetti legati all’intelligenza artificiale.
Non solo: dallo scorso anno, Benanti è l’unico italiano scelto dalle Nazioni Unite per fare parte di un gruppo di 39 esperti il cui compito è valutare i rischi e le numerose opportunità dell’Ai.
Uscirà il 21 novembre (ma è già prenotabile on-line), per le Edizioni San Paolo, il suo nuovo libro: Il crollo di Babele. Che fare dopo la fine del sogno di Internet?, una riflessione sul presente, che vede la dimensione on-line alle prese con una profonda crisi, i cui risvolti non sono ancora chiari. Di certo, dopo l’illusione di un mondo virtuale in grado di connettere le persone, oggi ci si trova di fronte a una realtà molto diversa, in cui è difficile riconoscersi. Ed è così che l’intelligenza artificiale è un altro elemento in grado di incidere sul futuro. Se per alcuni è un grande rischio e per altri un’opportunità, l’approccio di Benanti è molto concreto.
Ne ha parlato alcune settimane fa, in un incontro organizzato con le testate del gruppo San Paolo, tra le quali c’è Gazzetta d’Alba. «Non dobbiamo intendere l’Ai in un unico modo, perché ha molti utilizzi: si va dai processi industriali, all’interno della catena dell’automazione, a questioni che afferiscono alla persona. Ma è chiaro che, nel secondo caso, bisogna fare in modo che non diventi lesiva della macchina umana», ha spiegato. L’intelligenza artificiale può cambiare il modo di lavorare, «portando a nuovi equilibri, ma a risentirne saranno le professioni intellettuali, rivoluzionate rispetto a oggi».
Siamo capaci gli strumenti in armi, ma dobbiamo fare il contrario: l’Ai, di per sé, è solo un mezzo
Diventata anche uno strumento di guerra, nel conflitto tra Russia e Ucraina, per Benanti il discorso resta un altro: «Siamo capaci di trasformare i mezzi in armi, ma dobbiamo fare il contrario. Viviamo nella stagione dell’intelligenza artificiale, che può contribuire al bene comune, apportando benefici a molte persone: bisogna partire da questo presupposto. Abbiamo bisogno di imprenditori che si muovano in questa direzione e che massimizzino l’impatto del bene».
Anche perché la guerra è comunque tale: «La prima arma autonoma è stata la mina. L’Ai, in questo campo, non è una novità. Certo, oggi avere la potenza tecnologica è sinonimo di supremazia, ma il concetto chiave è evitare a priori i conflitti. Il problema non è l’algoritmo: a essersi disumanizzato, da troppo tempo purtroppo, è il cuore dell’uomo».
Francesca Pinaffo
