ALBA Il presagio aleggiava già da una decina di giorni e, nel fine settimana, è arrivata la conferma: il tuber magnatum Pico è il grande assente dell’ultimo periodo della Fiera del tartufo.
I prezzi ufficiali: se dal 1° ottobre fino alla metà di novembre il costo si è mantenuto tra i 450 e i 550 euro l’etto, sabato 23 e domenica 24 le quotazioni al Mercato variavano dai 480 ai 700 euro, per poi arrivare il 1° dicembre a un prezzo minimo di 650 euro.
Sulla scarsità, interviene Stefano Cometti, coordinatore dei giudici del Centro nazionale studi tartufo: «Già il 23 e il 24 novembre, i trifolao avevano portato circa 28 chilogrammi di prodotto, un 30 per cento in meno rispetto alle settimane precedenti. Il 1° dicembre ne abbiamo controllati appena sette: per fortuna rimane solo un’ultima settimana di Fiera. Il problema è comune: la cerca è povera ovunque». Il punto positivo riguarda la qualità: «Lo confermo, quest’anno è davvero elevatissima».
Mauro Carbone, direttore del Centro, si mostra più ottimista: «Speriamo nella buttata successiva a quella di novembre. Poi, se pure questo periodo sarà di magra, potremo trarre le conclusioni. Ma ora è ancora presto, non disperiamo». La stagione può davvero terminare così presto? «Le condizioni climatiche delle ultime settimane possono darci una speranza. A ottobre e all’inizio di novembre, sono nati ottimi esemplari, con un’annata in generale più positiva. E il Piemonte è stato più fortunato delle altre aree di produzione, malgrado i ristagni idrici».
Secondo Carbone, soddisfare la domanda non sarà un problema: «In casi come questo, intervengono le leggi del mercato. I prezzi si alzeranno e si ridurrà il numero di persone che potranno acquistarli».
Dalla Langa al Roero, il parere dei trifolao
Quando le speranze finiscono, ci si affida alla luna. Sembra essere questa la conclusione a cui arriva ogni trifolao che, in questi giorni, tenta di spiegarsi il quasi totale arresto della nascita di tartufi.
Pur consci di una situazione che quasi sicuramente resterà tale, in loro permane l’atavica speranza, non supportata da prove scientifiche, che a dicembre possa ancora cambiare qualcosa.
Il primo a parlare è Stelvio Casetta, di Montà: «La situazione è “grama”: gli ultimi anni sono stati disastrosi, ma dalla metà di novembre in poi qualcosa si trovava. Ora, c’è il nulla, a parte qualche esemplare dalla forma di una nocciola. Mi rendo conto che noi cercatori abbiamo mai capito niente: si diceva che la pioggia avrebbe fatto bene, ma le previsioni sono state disattese».
E aggiunge: «Penso che su questa penuria abbia influito il caldo di agosto, che ha bruciato le micorrize, e le copiose precipitazioni dei primi di settembre, responsabili dei marciumi. Fino a qualche settimana fa, qualcosa si trovava, ma soltanto lungo i pendii e non nei terreni in piano, più soggetti a ristagni idrici pesanti».
Carlo Marenda, cercatore albese, è drastico: «La stagione è finita, a meno che non esca qualcosa in questi giorni, ma sarà davvero difficile. Da anni ripetiamo alle persone di venire a comprare il tartufo a novembre: ci stanno ascoltando, ma ora abbiamo niente da vendere. Per tale motivo, i prezzi sono alle stelle: dai cercatori 400 euro, nel Mercato mondiale si parte da 500 e, nei negozi, si arriva anche a 700».
In ogni caso, anche prima della crisi, l’annata è stata complicata: «La definirei indecifrabile: si trovavano tartufi, ma le caratteristiche organolettiche non erano delle migliori, così come i profumi. Credo che i motivi debbano essere ricercati negli ultimi due anni di siccità. L’estate è stata piovosa: in seguito sono scesi 150 millimetri d’acqua intorno al 20 di ottobre e, nel ponte di Ognissanti, si stava in maniche corte. Le temperature si sono mantenute alte: non piove da un mese e le sponde ormai sono secche». Tino Marolo, presidente dell’associazione Tartufai delle rocche del Roero, commenta: «Tutto è andato abbastanza bene fino a metà novembre: eravamo soddisfatti per la quantità e la qualità. Adesso stiamo trovando pochissimo: pensavamo che gli esemplari potessero crescere maggiormente, ma sono sempre piccoli. Ci auguriamo possa esserci ancora un ultimo momento buono».
Trovare delle spiegazioni è difficile: «Sono solito definire il mondo del tartufo come una poesia, in cui il prodotto è la strofa finale. Il tuber magnatum Pico fa quello che vuole: posso ipotizzare che, quest’anno, si paghi lo scotto della siccità passata. La pioggia non è bastata: credo sia necessaria un po’ di neve, in modo che l’acqua penetri bene nel terreno». Oltre al presente, occorre pensare al futuro: la nostra associazione pianta da tempo alberi che potranno dare tartufi fra trent’anni. È fondamentale». Conclude Marolo: «Positivo, in ogni caso, lo spostamento dell’inizio della raccolta al primo ottobre: era un provvedimento che chiedevamo da parecchi anni».
Se si cambia provincia, il risultato resta il medesimo, segnale di un problema diffuso. Lo conferma Paolo Carretto dell’Associazione trifolau astigiani e monferrini: «Se si considera solo il periodo precedente al calo di produzione, la stagione ha avuto luci per alcuni e ombre per altri. Il Piemonte, comunque, è stata l’unica area italiana ed europea in cui si è cavato qualcosa».
Davide Barile