
LO STUDIO «Ogni tanto mi sento come in un cartone animato. C’è il protagonista che trova riparo dagli squali e dalle acque gelate, su un blocco di ghiaccio, che diventa sempre più stretto. Resta in bilico, alla fine, su una piccola striscia: la sfida è non cadere, cercando soluzioni diverse». Per Alessandra, albese con due figli, la vita è così.
Insegnante alle superiori, parla di «un territorio cambiato nell’ultimo decennio». Anche uno stipendio medio non basta. «Rispetto alle grandi città o a ciò che ascoltiamo ai telegiornali, è evidente che possiamo contare su un’economia florida e maggiore occupazione, ma a livello sociale si respira molto isolamento».
Il suo pensiero racconta una realtà complessa e in veloce movimento, come quella fotografata dalla ricerca Antenne – rapporto di quadrante Sud-ovest, pubblicata da Ires Piemonte negli scorsi giorni. È l’occasione annuale per tracciare un bilancio dello stato di salute della provincia di Cuneo, che corrisponde al quadrante in questione.
Ne emerge uno scenario variegato: se da un lato sono evidenti risorse e possibilità superiori rispetto al resto della regione sul versante economico, produttivo e occupazionale, non si possono ignorare zone d’ombra che nel futuro potrebbero compromettere la qualità di vita generale.

Partiamo, prima di tutto, dalla demografia. Dal 2012 al 2022, la popolazione è sì scesa, ma in modo più contenuto rispetto agli altri quadranti piemontesi: nella Granda la flessione è stata del 2%, ridotta rispetto alle altre aree. In particolare, il Nord-ovest piemontese ha registrato un -3,9%, il Nord-est -4,8% e il Sud-est -6,3%. Per quanto la situazione sia meno tragica che altrove, non si può certo festeggiare. Si parla comunque, nella nostra provincia, di 12mila abitanti in meno nel giro di dieci anni. Un numero importante, che nel futuro potrebbe crescere. Circa il 10,8% della popolazione è straniera, una quota più elevata rispetto alla media regionale: è un fattore positivo, in un’ottica di ricambio generazionale e di arricchimento culturale, gli antidoti contro l’inverno demografico ormai diffuso.
Si passa al mercato del lavoro, da sempre considerato la forza trainante del Sud-ovest piemontese. Per il 2023, il tasso di disoccupazione risulta il più basso tra i quattro quadranti e tra le province: si ferma al 3,7%, mentre il tasso di occupazione è del 53%, il dato migliore a livello regionale. In effetti, se si guarda al dato complessivo per il Piemonte, la disoccupazione è al 6,3% e l’occupazione al 49,4%. La situazione peggiore come occupazione è quella di Alessandria, con un tasso del 48%. Come disoccupazione è Asti, che si avvicina al 7%. L’occupazione femminile, per tornare alla nostra provincia, è al 45,8%, superiore rispetto alla media piemontese (42,8%) e al dato degli altri quadranti, segno di un percorso virtuoso su questo fronte.
Si arriva così al Pil pro capite (prodotto interno lordo), anche in questo caso superiore rispetto al resto del Piemonte: nel 2021, il dato più aggiornato, ha raggiunto i 34.200 euro (rispetto ai 32.600 euro regionali).
Eppure il reddito a Cuneo è più basso
Nonostante il Pil superiore al resto del Piemonte, l’entità dei redditi appare inferiore. Secondo i ricercatori di Ires, ogni residente della Granda può contare su 21.863 euro annuali, contro i 23mila euro di media regionale. Nel caso di Novara, dove si registra il reddito più elevato (superiore a 24mila euro), lo scarto è ancora più evidente. Quali sono le ragioni? Risponde la ricercatrice Cristina Bargero: «Si tratta della combinazione di fattori legati alla struttura economica del territorio e alla distribuzione delle attività produttive».
E prosegue: «L’economia cuneese, prima di tutto, è fortemente radicata in settori come l’agricoltura, l’agroalimentare e il manifatturiero, che hanno margini più contenuti rispetto ad altri comparti, come quelli di stampo tecnologico presenti a Torino e Novara».
Nella Granda, poi, il tessuto è costituito prima soprattutto da piccole-medie imprese a conduzione familiare, più tendenti alla stabilità che all’accumulo di profitti. Aggiunge la ricercatrice: «C’è anche una minore incidenza di grandi centri urbani, dove il costo della vita è più alto e i salari più elevati, grazie alla presenza di multinazionali, istituzioni finanziarie e un mercato del lavoro più dinamico».
Maria Delfino
