
di Davide Barile
MEDIO ORIENTE – A raccontare la quotidianità dei palestinesi della Cisgiordania è Silvia Dellapiana, cooperante albese classe 1995.
Dopo il diploma al liceo Leonardo Da Vinci, all’università si è specializzata nel conflitto israelo-palestinese. «Sono stata in Palestina con Overseas, un’associazione del Modenese, per il servizio civile. Sarei dovuta rimanere lì per un anno, da giugno 2022, ma Israele ha tardato a concederci i visti e sono arrivata a ottobre 2022».
Il progetto realizzato nel villaggio
Il progetto a cui ha partecipato «prevedeva il sostegno alle attività agricole di un villaggio a 11 chilometri da Betlemme, esposto ai soprusi dei coloni. Sulla sommità delle colline circostanti ci sono due insediamenti israeliani illegali. Da quando sono sorti, la gente del posto lotta contro gli espropri e resiste in modo non violento coltivando le terre e pascolando gli animali. Le fogne delle colonie scaricano sui campi dei villaggi palestinesi». Silvia spiega che, con altri operatori «aiutavamo nella raccolta delle olive e a ripiantare gli ulivi sradicati dai coloni. Poi abbiamo registrato le testimonianze degli anziani».
L’altra parte della missione riguardava «un progetto di sensibilizzazione ambientale in alcuni quartieri di Gerusalemme Est. Qui, in origine, erano tutti villaggi, in seguito sono stati inglobati nella città. Le persone lottano contro gli sfratti abusivi: Israele è convinta di trovare le rovine del tempio di Salomone e, per farlo, abbatte le case dei palestinesi».
In Cisgiordania già prima del 7 ottobre, «le violenze erano già all’ordine del giorno. Oggi si sono inasprite, ma le ragioni storiche di quegli attacchi vanno ricercate in ciò che accade da quasi 100 anni. Si continua a non voler parlare di genocidio, ma le persone dovranno accettare che si tratta di quello».
La Cisgiordania «se la stanno mangiando un pezzo alla volta, ci sono agenzie che organizzano viaggi da diversi Paesi per le persone interessate a insediarsi nelle colonie. Il Governo sta dando molte agevolazioni. Israele, fin dalla sua nascita, ha occupato le terre e le case degli abitanti originari: a provarlo ci sono numerosi documenti, fotografie e testimonianze dirette di ex membri dell’Idf e del Mossad».
Entrare a Betlemme
Chi, dall’Italia o da altri Paesi, si reca per turismo a Betlemme in pullman «per entrare in Cisgiordania deve semplicemente mostrare il passaporto. Diversa è la situazione per gli altri varchi. I checkpoint usati dai palestinesi sono delle grandi scatole di metallo e, sopra la gente in fila, c’è una passerella con una griglia: qui camminano i soldati israeliani armati di mitra. Israele decide a proprio piacimento se chiudere i passaggi e, se le persone in fila protestano, sono minacciate con le armi».
Silvia ha assistito a una situazione simile: «Era un venerdì, giorno in cui gli arabi dovevano recarsi alla moschea di Gerusalemme. I militari hanno bloccato il passaggio e, dopo un’ora, sono iniziate le proteste. Da sopra, i soldati urlavano e puntavano i mitra. Ero l’unica occidentale e, quando mi hanno notata, tra i militari c’è stato il panico. Ho mostrato il passaporto e urlato di essere italiana. A un certo punto, hanno detto che avrebbero aperto il varco solo per me. Mi sono rifiutata, era ingiusto. Non so se sia stato per questo o per altro, ma poco dopo i cancelli si sono aperti per tutti».
La situazione in altre città
Se si va verso Nablus o Hebron «la situazione è ancora diversa. Sono i centri della resistenza e, se un italiano o un europeo si reca lì, l’esercito israeliano lo tratta male a prescindere. I militari sono ragazzi di leva terrorizzati e ci mettono un attimo a spararti o metterti il calcio del fucile in faccia. Ai coloni, poi, non importa chi tu sia: la loro violenza è indiscriminata».
Su Netanyahu «c’è una forte opposizione, è considerata una persona corrotta e incapace. Nelle critiche, però, non rientrano i palestinesi. Per cui, quando cadrà, continueranno a subire soprusi e violenze. Come, d’altronde, accade fin dalla nascita di Israele».
