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Se 4 milioni d’italiani non riescono a curarsi

Salute: nel 2018, anche nel Cuneese, una famiglia su cinque ha dovuto intaccare i risparmi o fare affidamento sui parenti

Se 4 milioni d’italiani non riescono a curarsi

IL RAPPORTO/1 «Vedevo come dei piccoli pallini neri che attraversavano il mio campo visivo. Questo mi preoccupava: volevo andare dall’oculista. Ma le liste d’attesa dell’Asl superavano i tre mesi per una visita di questo tipo. Il settore privato mi era del tutto inaccessibile: oltre 100 euro un appuntamento. Non potevo permettermelo, perché avevo perso il lavoro. Così sono rimasto con i miei “pallini” nell’occhio». È la testimonianza di Anna, una donna di 49 anni che vive ad Alba: ci confida questo aneddoto «con vergogna, ma anche rabbia. Non è possibile che una persona povera sia esclusa dalla possibilità delle cure essenziali».

In Piemonte la situazione di Anna non è rara. Secondo i dati Ires (Istituto per le ricerche economiche e sociali), tra il 2007 e il 2015 l’incidenza della povertà assoluta è salita dal 2,9 al 5,6 per cento: la nostra regione, che nel periodo precrisi mostrava indici migliori rispetto alla media delle regioni del Nord, nel 2015 ha registrato un numero di famiglie in povertà assoluta – allorché non si dispone di risorse essenziali come cibo, acqua, casa, vestiti, medicine – passato da 57.300 a 112mila. Secondo i dati di Save the children, inoltre, in Piemonte un bambino su cinque vive in povertà relativa.

Una situazione simile si legge anche in provincia di Cuneo, dove lo scorso anno i centri di ascolto delle cinque Caritas diocesane hanno aiutato ben 3.127 persone e – a titolo di esempio – l’Emporio solidale di Alba ha registrato un migliaio di persone in povertà assoluta, una vera sacca d’indigenza che, ogni giorno, lotta per sopravvivere. Emerge così l’altro volto della medaglia: una Granda assai meno brillante rispetto a quella – pur realistica – narrata dalle grandi vetrine. Nella maggioranza dei casi, la povertà obbliga a rinunce, a iniziare dall’accesso alle cure: una grave penalizzazione, se si pensa che la salute è una delle componenti più importanti e delicate della vita.

Secondo uno studio curato da Mbs consulting e uscito nel 2019, la salute costituisce l’area di spesa per welfare più rilevante per le famiglie italiane, con un valore complessivo di 37,7 miliardi nel 2018 e una spesa media per nucleo pari a 1.476 euro (si va dai mille per quelli economicamente più deboli ai 2.602 per quelli più agiati). Per affrontare le spese, nel 2018 più di una famiglia su cinque ha dovuto intaccare i risparmi o fare affidamento sull’aiuto dei familiari; fra le fasce di reddito più basse si parla di quasi un terzo dei nuclei. In provincia di Cuneo, la situazione appare analoga a quella nazionale.

Spiega Federico Razetti, uno dei ricercatori del Rapporto sul secondo welfare (di cui trattiamo in queste pagine) voluto dalla fondazione Cassa di risparmio di Cuneo: «La necessità di far fronte con risorse private a un insieme crescente di esigenze di cura che non trovano adeguata risposta nel sistema pubblico, rischia di aggravare sensibilmente le condizioni economiche delle famiglie a più basso reddito, ma anche di acuire – soprattutto fra questi nuclei – il fenomeno della cosiddetta “rinuncia alle cure” e dunque di impattare negativamente sullo stato di salute della parte più vulnerabile della popolazione. Secondo i dati Istat, la rinuncia a visite o accertamenti specialistici per problemi di liste di attesa avrebbe riguardato nel 2017 circa 2 milioni di persone, mentre la rinuncia per ragioni economiche avrebbe coinvolto circa 4 milioni di italiani».

Per questo il secondo welfare, nelle sue componenti del mutualismo, delle associazioni no profit e della sanità integrativa, risulta sempre più essenziale in una società che rischia di essere meno capace di tutelare le fasce deboli della popolazione.

Roberto Aria

SECONDO WELFARE: PROTEZIONE E INVESTIMENTO SOCIALE

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