Eppure il 40 per cento delle imprese cuneesi non sa di che cosa si tratti

Eppure il 40 per cento delle imprese cuneesi non sa di che cosa si tratti

IL RAPPORTO/2  «L’azienda in cui lavoro mi ha consegnato a marzo 250 buoni benzina. Oltre
al carburante abbiamo opzioni al supermercato oppure per i trasporti», dice Paolo, un lettore di
53 anni che abita ad Alba e lavora in campo sanitario. Aggiunge: «Non è male. Ma preferirei avere la quattordicesima, soldi da spendere come voglio.

I benefit rappresentano toppe che non migliorano la vita, ma è pur sempre meglio di niente». Secondo il Rapporto sul secondo welfare, circa il 58 per cento delle aziende associate a Confindustria nel 2018 garantiva almeno un servizio di welfare ai propri dipendenti. La misura più diffusa era l’assistenza sanitaria, con quasi metà del campione che versava contributi in fondi integrativi (44%). Ma cosa accade nella Granda? Secondo la fondazione Crc, il welfare aziendale sta coinvolgendo, anche se ci sono ancora problemi.

Spiegano infatti i ricercatori Franca Maino e Federico Razzetti: «Il 40 per cento delle imprese cuneesi intervistate non sa dare una definizione di welfare aziendale».

Solo un’azienda su cinque prevede qualche attività per la conciliazione vita-lavoro (smart working, nido aziendale, rimborsi o voucher), il 17% aiuta con tassi agevolati per mutui e solo il 15% ha attivato convenzioni con strutture commerciali e rimborsi per i mezzi di trasporto. E ancora: il 9,5% eroga contributi per il sostegno ai non autosufficienti e il 7,4% ha investito nel supporto psicologico per i lavoratori con problemi familiari; il 4,6% prevede agevolazioni per scuole, il 3,2% contributi per affitti a prezzi calmierati e il 2,3% offre borse di studio.

r.a.

SECONDO WELFARE: PROTEZIONE E INVESTIMENTO SOCIALE

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