Rugby, Resistenza e letteratura ad Alba con il partigiano Ely Somenzi

Tutti gli incontri albesi per ricordare l'Olocausto: testimonianze, film, mostre
Elia Somenzi

ALBA. Ci saranno tutti al Coppino di Alba, sabato 29 e domenica 30 agosto. Quelli che amano Fenoglio e quelli che amano il rugby, quelli che nutrono rispetto per la Resistenza e quelli che la Resistenza l’hanno fatta davvero o che ne applicano i principi nella vita di ogni giorno. Rugby, Resistenza e letteratura nasce così, per riunire anime, pensieri e azioni.

franchigia rugbyL’idea, sorta all’interno della Franchigia rugby old – già protagonista dei mondiali antirazzismo e di numerose altre iniziative sociali – con l’appoggio dell’albese Piero Spertino, ha trovato l’immediato consenso dell’Alba rugby, della sezione albese dell’Associazione nazionale partigiani e del centro studi Beppe Fenoglio. «Sabato 29, alle 18, ci troveremo al Coppino», annuncia Daniele “lo zio” Tarasco della Franchigia. «Il trio milanese Pezzi fluttuanti eseguirà letture di brani del Partigiano Johnny e di volumi dedicati alla Resistenza, alternati a brani musicali. Elia Somenzi (si veda l’intervista che segue), partigiano a 15 anni e rugbista professionista poi, porterà la sua testimonianza. Si cenerà tutti insieme, condividendo quanto ognuno avrà portato. Chi vorrà potrà piantare le tende al campo. Domenica, alle 9, verranno formate le squadre e giocheremo. Insieme, adulti e ragazzi, per non dimenticare. Mai».

v.p.

ELIA SOMENZIElia, il soffiatore di vetro che salvava gli ebrei

L’INTERVISTA.
Elia Somenzi è nato nel 1928. Ha vissuto in Lombardia gran parte della sua vita lavorando come soffiatore di vetro, ed è arrivato ad Alba sette anni fa, per stare vicino ai figli. Lo incontriamo nella sua abitazione di corso Piave. Racconta la sua storia: fatta di lacrime, violenze e incredibili avventure.
Lei ha salvato tante vite. Soprattutto di ebrei. Quale la storia?
«Nel ’44 avevo 16 anni. Mio padre Ermanno era ispettore delle filande di Veneto e Lombardia. In quegli anni cominciai a trasportare gli ebrei, gli zingari e tutte le persone perseguitate dal nazismo sui camion che utilizzavamo per il commercio della seta. L’obiettivo era condurre questa gente al confine con la Svizzera, farli attraversare la linea e metterli in salvo. Non conto il numero di persone che ho aiutato. Alcune decine sicuramente. C’erano molti bambini».
Come veniva attraversato il confine?
«Grazie all’aiuto dei contrabbandieri, che avevano scavato un tunnel sotto una siepe. Poi facevano suonare gli allarmi in un punto diverso della linea di confine per distrarre le guardie. Dall’altra parte, un’associazione aiutava i fuggiaschi dando loro soldi e un lavoro. Anche le prostitute e i pescatori ci aiutavano, dando bustine di zucchero e pesciolini per fronteggiare la scarsità nutritiva comportata dal viaggio. Era una procedura rischiosa. Una volta fui denunciato. I fascisti avevano offerto un compenso di 5.000 lire a chiunque avesse comunicato i nomi di chi aiutava gli ebrei».
Perché aiutava queste persone, sapendo che avrebbe rischiato la vita?
«Fin da piccolo avevo visto e conosciuto le sofferenze delle filandiere e dei poveri lavoratori, degli ultimi della società. Ancora oggi ricordo le mondine nelle risaie, che se interrompevano il lavoro ricevevano una bastonata sulla schiena. Un giorno, avevo sei anni, presi un sasso e spaccai il naso a un “capobastone”, ovvero un controllore che aveva picchiato una di queste mondine. I fascisti arrivarono a casa mia tentando di arrestare mio padre. Avevano un cane lupo. Il capomacchinista di mio padre prese una rivoltella e ammazzò il cane. I fascisti non tornarono più».
Lei venne mai preso?
«Un giorno i fascisti mi spaccarono le costole, il torace, per farmi parlare. Volevano sapere dove nascondevo i bambini. Il medico, anni dopo, quando vide la radiografia del mio torace si spaventò».
Deve aver vissuto una vita molto dolorosa…
«Quegli anni furono molto duri. Nel ’43, quando avevo quindici anni, entrai nei partigiani. Nella vita ho sempre ricordato tutto e cercato di raccontarlo. Il resto degli anni li ho passati lavorando e giocando a rugby, la mia passione».
Matteo Viberti

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