Risorgimento visto da Alba e dalle Langhe

Silvano MontaldoSilvano Montaldo insegna all’Università di Torino: al Consiglio comunale aperto di giovedì 17 marzo – indetto per celebrare i 150 anni dell’unità nazionale – ha condiviso col pubblico la prolusione dal titolo Alba, gli albesi e l’unità d’Italia. Montaldo sta curando la mostra Le Langhe di Camillo Cavour, dai feudi all’Italia unita che sarà pronta a giugno.

Tra il 26 e il 28 aprile 1796 ad Alba accade qualcosa che può essere considerato un preludio “ideale” dell’unità d’Italia. Di che cosa si tratta, professore?

«Durò due giorni la “cosiddetta” Repubblica di Alba, uno stato giacobino creato il 26 aprile, giorno dell’invasione delle truppe francesi. Idealmente, la Repubblica avrebbe dovuto rappresentare uno snodo cruciale per la diffusione degli ideali di libertà ed emancipazione propri dell’impero francese: tuttavia, Vittorio Amedeo III, con l’armistizio di Cherasco, recuperò Alba e mantenne il controllo di Torino. Dunque il progetto fallì, ma gettò le basi per nuove consapevolezze. Nel discutere di eventi tanto lontani e sovente trascurati dalla storia, si rivelano necessarie alcune specificazioni terminologiche: quando usiamo l’etichetta “giacobini”, non bisogna dimenticare il sussistere di profonde differenze di pensiero e comportamento fra i giacobini francesi e quelli piemontesi. Perciò questi ultimi vengono spesso chiamati con il più generico termine di “patrioti”».

Di chi stiamo parlando? Si conoscono nomi e cognomi dei “pionieri” albesi dell’unità?

«I più famosi sono Ignazio Bonafous e Giovanni Antonio Ranza. Particolarmente attivi durante i moti giacobini piemontesi, raggiungono l’apice dell’attività “rivoluzionaria” dal 1794, anno in cui venne organizzata una congiura antimonarchica e antisabauda. La congiura fallì, i giacobini piemontesi si ritrovarono a Oneglia e, nel 1796, quando i francesi valicarono il confine, unirono le forze e proclamarono la Repubblica di Alba. Ranza ideò il tricolore repubblicano: rosso, blu e arancione, lo stesso ancora oggi utilizzato per il gonfalone della Regione. L’arancione richiama il melarancio, frutto dagli spicchi privi di differenze. Nacque così uno dei simboli antesignani dell’odierna Costituzione, perché veicolo di uguaglianza e parità di diritti di ogni uomo».

Facciamo un salto avanti fino al conte Camillo Benso di Cavour. Che ruolo ebbero le Langhe nella formazione di uno dei principali fautori dell’unità nazionale?

«Camillo Cavour fu sindaco di Grinzane a soli 22 anni: i suoi genitori possedevano circa due terzi delle terre del paese. Parliamo di anni cruciali per la formazione dello statista. Non per niente, nella presentazione della mostra a lui dedicata si parla di quel periodo come di una sorta di “apprendistato”. In quegli anni Cavour disponeva di sufficiente tempo libero per compilare i propri diari, tempo che ovviamente diminuì proporzionalmente all’ascendere della carriera politica: le opere della giovinezza sono rimaste intatte e rappresentano memorie cruciali dal punto di vista biografico, storico e sociologico.

 

Il giovane Cavour

Portaritratto con immagine di Cavour del 1834,
miniatura su carta in custodia di legno (Museo del Risorgimento di Genova).


Dai diari vediamo come nella mente del giovane amministratore cominciassero a formarsi le prime idee sulla società e gli uomini del tempo. Cavour parlava di uno Stato debole, incline a piegarsi al volere dei potenti, uno Stato deferente e accondiscendente. Un atteggiamento che l’autore riscontrava pure nei singoli individui, come in alcuni degli amministratori albesi di cui era amico o conoscente. Tutto ciò influì ovviamente sul suo mondo interiore e dunque sulle sue modalità di gestione politica».

In che modo il Risorgimento ha cambiato il volto delle Langhe? Prima dell’unità, come viveva la gente del posto?

«Alba era un paese povero, isolato geograficamente e trascurato dai potenti. Ad esempio, le vie che collegavano il Piemonte alla riviera ligure sembravano evitare le Langhe, le aggiravano. Alba era l’ultima stazione, il capolinea oltre il quale la strada non prosegue. In pratica, si potrebbe dire che qui il Medioevo è durato più che altrove. Poi, nel 1815, la Liguria venne annessa al Piemonte e venne realizzata una strada, già programmata negli anni precedenti ma mai concretizzata. Si trattava di un tratto viario di collegamento tra il territorio e il resto delle “infrastrutture” esistenti: l’operazione sancì l’inizio della modernità nelle Langhe. Sulla facciata esterna della chiesa della Moretta figura ancora oggi un’iscrizione in calce che racconta la storia di come la strada venne costruita: si tratta di una testimonianza suggestiva che chiunque, passando accanto alla chiesa, può ammirare».

 

Rocce nelle Langhe, di Giuseppe Camino

Rocce nelle Langhe, di Giuseppe Camino


A Gazzetta sono arrivate alcune lettere in cui si tracciano correlazioni di causa tra il processo di unificazione nazionale e le attuali disparità sussistenti tra Nord e Sud del Paese. Che cosa ne pensa?

«Già nel 1861, data ufficiale dell’unità d’Italia, Settentrione e Meridione presentavano alcune disparità economiche, sociali, infrastrutturali. In parte le differenze sono aumentate dopo l’unificazione, ma bisogna sfatare la mitologia secondo cui il Sud sia stato “colonizzato” o “prevaricato” dal Nord. Il Mezzogiorno ha guadagnato molto dall’unità in termini di strutture e funzioni, e ha “sfornato” parecchi uomini di governo: ciò dovrebbe far riflettere. Il Sud si è progressivamente modernizzato e se è rimasto indietro nei confronti del Nord, ciò è dovuto in gran parte al processo di industrializzazione, processo che ha “scelto” come luogo prediletto di insediamento proprio il Settentrione.

 

Cavour maturo

Conte di Cavour in età matura, olio su tela di Michele Gordigiani, dal Museo civico di Brescia.


Insomma: troppo comodo “scaricare” sul Risorgimento la responsabilità delle inadempienze accumulate negli anni da innumerevoli personaggi. Se l’intenzione fosse stata realmente quella di risolvere i problemi di disequilibrio geografico, ce l’avremmo fatta. Senza troppe attenuanti».

Matteo Viberti

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