È con una composta irruenza che Ezi oMauro è approdato ad Alba, il 4 febbraio, al convegno organizzato dal Partito democratico cittadino per ricordare Giuseppe D’avanzo, il giornalista morto circa sei mesi fa. Strana atmosfera, si sente il contrasto tra provincia e rappresentanza internazionale. Su uno sfondo ingenuo, si percepiscono le maglie del potere che incombono su uomini come lui.
La lezione è semplice: non è nel contenuto che i discorsi rivelano la loro maggiore o minore sincerità, ma nel suono. E il suono del direttore di Repubblica – secondo quotidiano d’Italia con circa 500 mila copie vendute al giorno – è quello della rivendicazione, della difesa di un ideale, che ti spinge a interloquire con una sala di cento persone come se fossi a un raduno di statisti. Prima ipnotizza il pubblico nel descrivere un’amicizia interrotta. «Nella redazione di Repubblica», spiega Mauro, «io e D’avanzo ci siamo mai risparmiati nulla. Litigavamo moltissimo, poi ci abbracciavamo e ricominciavamo a lavorare. Il rapporto privilegiato che avevo con lui suscitava gelosie tra i colleghi, ma c’erano ragioni profonde che giustificavano quella fratellanza».
D’Avanzo è morto a luglio ed è famoso per le sue inchieste, ad esempio sul caso Telekom- Serbia: nel 1997, il giornalista smascherò un sistema di tangenti pagate a esponenti del centro-sinistra del governo Prodi. «Il suo atteggiamento lo esponeva a grossi rischi», ha spiegato Mauro. «D’Avanzo era costantemente spiato, ad esempio quando incontrava le fonti in albergo. Aveva coraggio, era un perfezionista e mirava al progressivo miglioramento. Ha aiutato, con il suo lavoro a stretto contatto con i fatti, a migliorare questo sgangherato Paese».
Ossessione B. Dopo il racconto di un’amicizia professionale e umana, Mauro evoca la sua “ossessione”: «Ci hanno accusati di essere faziosi, di essere ossessionati dalla figura di Berlusconi. Era vero, ma l’abbiamo fatto consapevolmente: lui era ossessionato da se stesso, e noi abbiamo cercato di entrare nella sua ossessione perché era il solo modo per capire tutto. E abbiamo capito tutto. Sentivamo che, sebbene Berlusconi fosse un presidente del tutto legittimo e forte del consenso elettorale, i presupposti democratici e costituzionali erano a rischio».
Una militanza, quella di Repubblica, lontana dalla manipolazione delle informazioni, dalla “macchina del fango” (l’utilizzo strumentale delle notizie per “distruggere” la credibilità di personaggi pubblici) e dai condizionamenti di potere. Lontana dagli schieramenti politici. Unaprassi mobilitata da presupposti morali, etici e ideali. Ma anche umani, spinti dalla teoria più solida: il buonsenso. Mauro racconta aneddoti e dinamiche. Sul presente dice poco. Solo che «ieri ho visto il presidente del Consiglio Mario Monti per un’intervista. Gli ho detto: in un momento come questo non può parlare del posto fisso come un posto noioso. Deve conquistarsela la fiducia della gente. Essere un tecnico non vuol dire non avere un cuore, c’è bisogno di maggiore equità nelle sue manovre». Ricorre, nelle parole del Direttore, il termine «democrazia». E la necessità di una sua completa riabilitazione. Sul futuro, però, Mauro non dice nulla. Il giornalista, s’intuisce tra le righe, lavora con il presente.
Il futuro non è prevedibile, solo edificabile. Mattone dopo mattone.
Matteo Viberti