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Roberto Vecchioni: “Alba, luogo dell’anima”

Scienziati e positivisti gridano a gran voce che le parole non sono altro che suoni, vibrazioni od onde. Letterati e artisti, al contrario, valorizzano il fascino che ogni singola sillaba conserva – la potenza dei vocaboli, armi contro preconcetti e convinzioni. Il professore Roberto Vecchioni, venerdì al teatro Giorgio Busca, ha dosato con il contagocce le sue frasi. Incalzato da Giovanna Zucconi, curatrice della rassegna Per voci sole, il cantautore ha toccato temi delicati, argomenti limite secondo i canoni della società: giovani e droghe, malavita e ruolo della famiglia, arte e politica. Si è districato tra il pericolo di criticare (implicitamente) il pubblico e creare sgomento, arrivando a esporre teorie spigolose con toni soffici.

Roberto Vecchioni, cosa pensa di Alba? «Per me Alba è luogo dell’anima. La gente è straordinaria, così come il cibo e il vino. Tuttavia esistono anche lati negativi di questa città: stasera, per esempio, sono stato presentato dall’artista Enzo Mastrangelo, che per ottenere la sua striscia d’autore (calco del volto con vernice attraverso un telo) mi ha imbrattato totalmente. Peggio di questa esperienza ho solo vissuto i leghisti democratici… Ironia a parte, vi ringrazio per l’invito».

Si dice che Chiamami ancora amore sia stata scritta su una stanza d’albergo, su una tenda. Voci vere o false? «Voci vere. Le idee a volte sono talmente fuggevoli e istantanee che non imprimerle nell’immediato significherebbe perderle. Sarebbe un peccato perché un artista non prova solo le proprie emozioni, è testimone anche delle sofferenze e delle felicità altrui; trasformare queste suggestioni comuni in parole è compito arduo e per portarlo a termine a volte, nelle notti più maledette, una tenda può aiutare».

Fare l’artista, da molti oggi non è considerato un vero lavoro. «Infatti i giovani che desiderano entrare nel mondo della cultura e dell’arte si trovano spesso in difficoltà: oltre a essere un ambiente elitario, attorno a esso si aggirano troppi pregiudizi riguardanti l’uso di droga e le modalità di divertimento. Ma occorre sospendere i giudizi: essendo stato per vent’anni professore di liceo ho compreso che si rischia spesso di esprimere opinioni influenzate dalla paura dell’ignoto. Alcuni atteggiamenti adolescenziali, come l’essere disincantati o disillusi, possono sembrare legati all’assunzione di sostanze; bisogna però rendersi conto che, spesso e volentieri, rappresentano solo una reazione ai disagi creati da una classe dirigente poco attenta e manipolatrice. I sogni, le speranze, la voglia di cambiare esistono ancora e spesso sono espressi proprio attraverso l’arte. La creazione, si sa, richiede un enorme dispendio di energie e per questo motivo è da considerare pari a un qualsiasi altro lavoro. Molti ragazzi sanno che il mondo non è solo un dare-avere; sono in cerca di un qualcosa che riesca a definirli».

Roberto Vecchioni ha toccato anche il rapporto con i propri genitori. «I miei genitori non potevano mantenermi perciò a loro importava solo che portassi a casa del denaro. Il come non era importante: così a vent’anni mi ritrovai a cantare nelle bettole napoletane in cambio di qualche spicciolo. È importante sapere che negli anni ’60 non esistevano concetti che oggi dovrebbero essere alla base della convivenza familiare: la rinuncia a se stessi in nome dei propri figli, l’elogio del dubbio e dell’errore come incentivo alla crescita del nucleo familiare erano astrazioni considerate all’avanguardia. La mia famiglia era comunque incredibile. Mio padre era un giocatore d’azzardo sfegatato, mia madre una donna forte e fiera; in ogni loro qualità, in ogni loro difetto li ho amati con tutto il cuore».

Marco Viberti

 

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