Il martirio di San Lorenzo, straordinario capolavoro di Tiziano, proveniente dalla chiesa veneziana Santa Maria Assunta (detta i Gesuiti), torna ad Alba dopo il lungo restauro, durato dieci mesi, a opera del laboratorio Nicola restauri di Aramengo. Il lavoro, che ha portato alla luce i contrasti e le trasparenze cromatiche del maestro veneto, padre della grande stagione del tonalismo veneziano, è stato interamente sponsorizzato dalla Banca d’Alba quale segnale di radicamento e partecipazione al benessere del territorio in un momento particolarmente difficile. Un omaggio alla città, come è stato sottolineato nel corso della presentazione del dipinto, che ora (sino a dicembre) dimorerà nella sede centrale della Banca.
Il progetto è stato seguito e supervisionato da Lionello Puppi, storico dell’arte e massimo esperto di Tiziano.
Professor Puppi, come giudica il risultato del complesso lavoro di restauro? «È stata un’opera condotta in maniera perfetta. Ci ha restituito un capolavoro che temevamo perduto a causa del difficile stato in cui gravava, manomesso da diversi interventi, anche invasivi, che ne avevano del tutto compromesso la leggibilità. Ora possiamo vedere l’opera in una condizione straordinaria. Il restauro non solo ha permesso di capire il lavoro decennale di Tiziano – che opera a più fasi sulla tela dalla metà del quarto decennio del Cinquecento fino alla fine degli anni cinquanta – ma anche di far vedere immagini che prima erano oscurate».
Si riferisce all’emergere della testa di uomo col turbante, elemento offuscato da varie ridipinture e ora riemerso? Quale può essere l’identificazione del personaggio? «Voglio essere cauto nell’affermarlo con certezza, ma si potrebbe trattare di un autoritratto dello stesso Tiziano, cosa di per sé non stupefacente, dal momento che il maestro compare spesso all’interno dei suoi dipinti. Sono le ragioni di questa comparsa che vanno capite e che, se così fosse, determinerebbero un coinvolgimento personale dell’artista nella dimensione della committenza».
Può spiegare perché? «L’opera sembra sia stata commissionata dal nobile veneziano Lorenzo Massolo, ma forse è più incisiva la partecipazione della moglie, Elisabetta Querini, donna bellissima e raffinata. Ella era diventata l’oggetto di una passione platonica da parte di Pietro Bembo, noto amico del pittore e probabile tramite tra questi e la committenza. I due coniugi hanno una figlia, morta in tenera età, e un figlio, Pietro Paolo, che, giovanissimo, si sposa con una patrizia veneziana, Chiara Tiepolo. Dopo pochi mesi dal matrimonio, tuttavia, il ragazzo commette un efferato omicidio, uccidendo selvaggiamente la consorte. Condannato a una morte atroce, secondo le leggi veneziane dell’epoca (deve infatti essere scorticato vivo e i pezzi del suo corpo esposti alla pubblica vergogna), il giovane scappa rifugiandosi in un monastero benedettino. Qui si fa frate, mutando il proprio nome in quello di Lorenzo. Sceglie questo nome perché è quello del padre o per una sorta di intima devozione al santo? Questo non lo sappiamo ancora. Quel che è certo è che il soggetto del quadro potrebbe essere stato ispirato da questa storia. Ma c’è di più. A Venezia viene inviato un messo pontificio, monsignor Giovanni Della Casa, mandato da Roma per sconfiggere l’eresia allora dilagante. Questi si innamora della bella Elisabetta. Tra loro nasce una storia d’amore che porta alla nascita di un figlio. Da lei, sposata, rinnegato e da lui riconosciuto e chiamato Querino in onore all’amata. La certezza di questa storia si ha dal testamento della donna, la quale, in punto di morte, ricorda il figlio rinnegato. E il volto del bimbo compare nell’opera tizianesca».
Dunque questo spiegherebbe l’identificazione del misterioso uomo col turbante con l’artista stesso? «Sì. Tiziano, in un momento molto particolare della sua carriera, di ritorno dal viaggio a Roma, dove ha ricevuto una fredda accoglienza da parte di Michelangelo e ha potuto ammirare le rovine di una classicità decaduta, inizia a mettere in crisi il suo linguaggio. Il tormento artistico del pittore, che porterà alla svolta verso l’ultima, drammatica, maniera, può in questo caso essere trasferito al dramma della famiglia committente, cui egli vuole mostrare il suo sentito, partecipato, dolore».
Stella Marinone