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Il direttore risponde (4 dicembre)

«Contro i femminicidi, serve anche l’impegno delle donne»

Chi uccide una donna per motivi legati alla gelosia, all’ossessione del possesso, al rovello della vendetta punitiva e alla libidine di distruzione e di cancellazione di qualcuno che ha “osato” mettere in discussione i fantasmi isterici di chi è forse maschio, ma non certamente uomo, ebbene, costui è un povero essere malato nella mente e nell’anima. E una società complessa, fondata e organizzata secondo il richiamo al rispetto dei diritti umani e civili, che sono una conquista, ancorché non definitiva, dell’età moderna, ha il diritto-dovere di difendersi da questi individui malati e criminali, secondo i termini di legge. E, in linea di massima, cerca di farlo, guidata da quella stragrande maggioranza di uomini degni di questo nome, che contribuiscono ad alimentare la fiducia nel genere maschile. Sarebbe, tuttavia, utile, nonché auspicabile, che ci si impegnasse a evitare le occasioni di scatenamento di questi delitti di genere, chiamati femminicidi, prima che essi fossero perpetrati nelle forme trucide che abbiamo imparato a conoscere. E non si vede chi altri potrebbe cimentarsi nell’ardua impresa, con qualche speranza di successo, se non le potenziali vittime stesse, cioè le donne. Le donne sono l’altra metà del cielo: molto spesso, la metà più limpida e splendente, dalla quale provengono calore e ristoro. Molto spesso, ma non sempre. Non lo sono, quando le donne perdono di vista l’intelligenza del cuore, che è qualcosa di più e di meglio dell’intelligenza tout court. È l’intelligenza del cuore, ad esempio, che dovrebbe suggerire alle ragazze che l’affermazione della dignità della donna non passa attraverso la gara di rutti, condotta vittoriosamente, con i coetanei maschi. Una donna è ben di più e di meglio. È l’intelligenza del cuore che dovrebbe suggerire a leggiadre fanciulle in fiore che le pari opportunità non risiedono nell’equiparazione della loro ricchezza lessicale, in temini di turpiloquio, alla consolidata sapienza storica, in materia, dei loro compagni. Una donna è ben di più e di meglio. L’intelligenza del cuore, infine, è quella che dovrebbe suggerire alle donne adulte la messa in opera della “sorellanza”, intesa non come coalizione acritica contro maschi potenzialmente prevaricatori, ma come capacità di empatia solidale immediata con donne vittime di prevaricazione. Le donne non devono sentirsi abbandonate dalle donne. Mai.

Maria Antonietta Panizza, istituto “Einaudi”, Alba

I numeri in Italia del cosiddetto “femminicidio” sono impressionanti: dall’inizio di gennaio al 25 ottobre si contano ben 101 donne uccise, in gran parte da familiari o tra le mura domestiche. A poco pare sia servita anche la legge del 2009 sullo stalking (piuttosto diffuso anche dalle nostre parti). Dal punto di vista legislativo il nostro Paese ha fatto molti passi avanti: dal 1975 il Codice civile riconosce alle donne pari diritti e doveri nel matrimonio rispetto ai mariti; nel 1981 è stata tolta dal Codice penale l’attenuazione per i delitti commessi “a causa di onore”. Ricordiamo anche che fino al 1968 l’adulterio, illegale, era punito solo se a tradire era la moglie e che dal 1996 la violenza sessuale è diventata un “delitto contro la persona” e non più un reato contro “la moralità pubblica e il buon costume”. Il fatto è che le leggi non bastano. È una questione di mentalità. A mio parere non si tratta più tanto del maschilismo di un tempo, ma di una nuova cultura individualista che sta dilagando nella nostra società. Una cultura dove non c’è il rispetto per l’altro, non si cerca il dialogo, non si dà valore alla donazione reciproca. Si cerca solo e sempre il proprio interesse e di soddisfare i propri istinti a ogni costo. È necessario, perciò, non solo dotarsi di mezzi legislativi adeguati, ma soprattutto creare una nuova mentalità basata sul rispetto, sul riconoscimento dell’altro, sull’autocontrollo, sul dialogo. In questo conta molto l’educazione: a scuola, in famiglia, nelle aggregazioni sociali ed ecclesiali. E sono anche importanti i modelli proposti dai media. Per noi cristiani mi viene in mente, come meta di riferimento, il frutto che ottiene, secondo San Paolo, chi si lascia guidare dallo Spirito: «Amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé» (Gal 5,22).

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