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La qualità Doc e Docg compie 50 anni

Un libro sulle grandi donne delle cantine

VINO I Figli dei territori è il titolo della pubblicazione celebrativa che è stata realizzata per ricordare il cinquantesimo anniversario della legge sulle denominazioni di origine, la 930 del 12 luglio 1963. Un “compleanno” già celebrato al Vinitalyea Torino, il 3 maggio, con la presentazione del libro dedicato a questo evento.

Guardando la realtà con gli occhi di oggi una legge sulle denominazioni di origine è un fatto normale. Così non si poteva dire allora, quando nulla era scontato in un’Italia che veniva da un periodo di grande tribolazione e che – rispetto ai Paesi enologicamente più evoluti – segnava un ritardo problematico. Non che in Italia non si fosse mai sentita la necessità di una legge che difendesse e, nello stesso tempo, valorizzasse i vini di qualità e origine. Tutt’altro. Già nella seconda metà dell’Ottocento, da più parti, si era chiesto un provvedimento del genere,ma ogni tentativo fu inutile.

Subito dopo la prima guerra mondiale questa necessità era parsa ancora più impellente. Nel 1921 un gruppo di parlamentari, capeggiati dal piemontese Arturo Marescalchi, aveva presentato un progetto di legge sui vini tipici. Un primo risultato si aveva nel 1926 quando una legge sui vini tipici di pregio veniva di fatto promulgata (la legge sarebbe stata poi perfezionata nel 1930 nella 1.164). Ma tutto era in fase embrionale, con un legislatore il quale non aveva le idee chiare, al punto che le regole che ispiravano il provvedimento si limitavano spesso alla delimitazione della zona di origine, senza formulare precise regole produttive.

Dello stesso periodo sono i consorzi di tutela (allora si chiamavano “di difesa”), organismi che celebrano l’interprofessionalità, presenti tuttora e resi definitivamente ufficiali, anche se in Italia ci sono esempi buoni e altri meno.

Nel 1937, la storia ci ricorda un altro tentativo di normare i vini di qualità, ma l’arrivo della seconda guerra mondiale tolse le ultime illusioni. E così si dovettero attendere gli anni Sessanta.

Anche nel 1963, quando il dpr 930 vide la luce, non c’erano condizioni proprio favorevoli al nuovo progetto di sviluppo. Tutt’altro. In quegli anni i maggiori centri di potere (in particolare quelli legati ai grandi commercianti e imbottigliatori) non vedevano di buon occhio un cambio di marcia che cercasse di mettere al centro dell’attenzione il vigneto e la terra di origine.

I contrasti, anche in quel momento, furono fortissimi e così le contrarietà, ma ci fu un uomo che riuscì a vincere le titubanze e le perplessità. Era un altro piemontese, il senatore Paolo Desana, il primo firmatario della nuova legge. A lui, alla sua tenacia, alle sue idee chiare dobbiamo la vittoria degli interessi globali su quelli di parte e il superamento dei rancori tra chi produceva uva e chi la vinificava o l’accantonamento dei contrasti tra le regioni del Nord più propense alla qualità e alla produzione di un vino per il mercato e le regioni del Sud che vedevano nella legge a tutela dell’origine un pericolo concreto per i loro mosti concentrati o i loro vini da taglio.

Oggi, dopo 50 anni, i risultati positivi di questa legge sono sotto gli occhi di tutti: la produzione dei vini italiani a denominazione di origine è passata da 1.158.461 a 13.063.000 ettolitri, circa il28%del totale enologico nazionale, con un numero rilevante di denominazioni di origine: 330 doc e 73 docg, oltre alle 118 igp. Quella di Figli dei territori è una storia avvincente, alla quale molti hanno partecipato e la cui lettura non può che far bene. Se non altro per diventare un po’ più orgogliosi di ciò che è stato fatto da chi è venuto prima di noi e che resterà come eredità anche per le generazioni che verranno.

Giancarlo Montaldo

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