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Valdivilla per don Tablino

A destra: don Giovanni Dutto ricorda don Tablino.

Momenti di commozione e partecipazione domenica 14 aprile nel camposanto di Valdivilla al termine della Messa. È stata inaugurata, nella cappella dei parroci, una targa a ricordo di don Paolo Tablino, sacerdote della Diocesi di Alba, missionario in Kenya per oltre cinquant’anni. Erano presenti oltre agli “Amici di don Tablino”, i familiari, parenti e persone che ebbero modo di conoscere il missionario albese in situazioni e periodi diversi.

Perché Valdivilla e don Paolo Tablino sono legati fra loro. Non a caso il sacerdote lasciò queste volontà nel suo testamento: se muoio in Africa desidero essere sepolto a Marsabit, se muoio in Italia vorrei restare vicino a don Torchio nel cimitero di Valdivilla. Per quale motivo? Le radici innanzitutto: i genitori Rosa e Felice nacquero entrambi a Valdivilla e qui vissero sino a matrimonio, nel 1926. Aggiungiamo l’amicizia con don Marcello Torchio, parroco a Valdivilla per molti anni.

Don Tablino frequentò il sacerdote in particolare tra il 1943 e il 1945. La famiglia era sfollata, a causa della guerra, da Alba al paese d’origine. Scriverà nelle memorie degli anni giovanili: «Nelle vacanze scolastiche del 1943 (avevo terminato la quinta Ginnasio) avvennero i due eventi che cambiarono le sorti dell’Italia: il 25 luglio ci fu la caduta di Mussolini […] l’8 settembre […]. Fu allora che la mia famiglia, che fino a quel tempo era vissuta ad Alba, si trasferì a Valdivilla dove fummo accolti dai nostri nonni materni […] In questo modo riuscimmo a sopravvivere nei due anni che ci separavano dalla fine del conflitto. Io, che frequentavo il Liceo, continuai tuttavia ad abitare ad Alba nella nostra casa oltre la Cherasca mentre mio fratello Vittorio e mia sorella Ada frequentarono le scuole a Valdivilla (Renzo, l’altro mio fratello, sarebbe nato dopo la guerra). Tornavo a Valdivilla tutte le settimane (naturalmente a piedi) e là rimanevo durante le vacanze».

Abbiamo cercato di ricostruire, con l’aiuto del cugino Aldo Icardi, la vita quotidiana di don Tablino adolescente in quegli anni. Viveva ai Bosi, una frazione di Valdivilla, ai confini con Mango. Una modesta casetta, al pianterreno i nonni materni avevano avviato un negozio. Trovavi di tutto in quei tempi nelle botteghe di Langa: aspirina, chiodi, carburo per acetilene, filo da cucire e zoccoli di legno.

Don Tablino fece presto amicizia con molti ragazzi della frazione: Serafino Minuto, Renzo Bosio, Alfredo Bosio, Franco Bosio e Beppe Bosio. Si creò una bella banda. Si divertivano con gli scarsi mezzi di allora. I giochi erano semplici e fantasiosi: biglie, ciapele (pietre lanciate il più possibile vicino al muro), quattro cantoni, salto con la corda, scaiet (tirare in aria pietruzze cercando di afferrarle in seguito).

Don Tablino ricordò alcuni episodi della guerra partigiana che investì anche Valdivilla. «I partigiani avevano lasciato una moto nella casa dei nonni. Con il rischio che la trovassero i repubblicani durante un rastrellamento. Mio padre Felice e zio Marino la nascosero subito nel campo di grano dietro la casa». Un altro episodio è ricordato così: «Un plotone della Repubblica di Salò ha fermato un giovane di Bosi sullo stradone. È di leva e non risulta arruolato. Perché? Rischia l’arresto e la deportazione. Interviene mio padre, il maresciallo di fanteria che abita vicino. Aveva il bilingue come salvacondotto, riconosciuto da entrambe le parti. Parla con un tenente repubblichino. Garantisce che è un giovane di buona famiglia che aiuta i genitori anziani nei lavori. Forzando un po’, accenna a una possibile licenza agricola. Il tenente capisce o fa finta di capire. Di fatto dopo pochi minuti il giovane è lasciato libero».

Un fatto importante cambiò la vita di Paolo, adolescente: «Fu allora che conobbi, per grazia di Dio, quel santo prete che vi era parroco, don Marcello Torchio, cui debbo in parte la decisione di diventare prete ». La carismatica figura del sacerdote ancora oggi è ricordata da anziani di Valdivilla. Don Marcello prese in simpatia il giovane albese. In particolare furono importanti gli esercizi spirituali svolti nella solennità di tutti i Santi del 1944.

Don Paolo Tablino lasciò quest’appunto: «La carità deve essere la regolatrice di tutte le nostre azioni». Nasceva lentamente la vocazione che lo avrebbe portato nel 1945 in Seminario e in seguito nel deserto di Marsabit, nel Nord del Kenya.

Lorenzo Tablino

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