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Meno morti, ma ancora troppi

SICUREZZA STRADALE Il rapporto sulla sicurezza stradale in Piemonte, curato dalla Regione e dall’Istituto di ricerche economiche e sociali (Ires), ha rivelato dati straordinari. Nel 2012 in Piemonte gli incidenti stradali sono stati 12.154. Circa 33 al giorno, in forte diminuzione: -8,3 per cento rispetto all’anno precedente e -10,7 per cento rispetto al 2010. In tutto, 27.704 persone sono state coinvolte nei sinistri. Circa 80 al giorno, per una riduzione dell’8,5 per cento rispetto al 2011 e del 12,2 per cento rispetto al 2010.

Soprattutto, è il numero di vittime ad aver conosciuto il maggiore decremento. Nel 2012 i morti sulle strade sono stati 284 (circa uno ogni giorno e mezzo, oltre l’11 per cento in meno rispetto all’anno prima), i feriti 17.559 (-9,2% rispetto al 2011, -12,1 rispetto al 2010). I morti per milione di abitanti scendono da 73 (2010-2011) a 65. Cifre confortanti, sebbene ancora troppo elevate.

Sarebbe l’azione umana la principale responsabile: nel 2012, circa l’80 per cento (quasi 10 mila su 12.154) degli incidenti è avvenuto in condizioni di visibilità ottimali. In condizioni di pioggia e grandine si registrano “soltanto” il dieci per cento dei sinistri. Nella maggioranza dei casi le collisioni avvengono a causa dell’eccesso di velocità, della guida distratta o del mancato rispetto della segnaletica.

Nel 2012, i morti tra i pedoni sono diminuiti di quasi un terzo, passando da 61 del 2011 a 41. La maggioranza dei decessi avviene in città. Unico dato in controtendenza sono gli scontri che hanno coinvolto ciclisti, cresciuti del 42 per cento, per un totale di 1.152, 26 morti e 1.103 feriti. Dinamica che può essere spiegata con il maggiore ricorso a mezzi sostitutivi dell’autovettura, per risparmiare o stare in forma.

incidente stradale

Nella Granda il numero di morti nel 2012 è aumentato del due per cento, a fronte di una riduzione del numero di sinistri pari al 15. L’anno scorso nella provincia sono avvenuti 1.317 incidenti (quasi quattro al giorno), con 49 morti (uno alla settimana) e 1.979 feriti (più di cinque al giorno). Cifre forti, ma meno tragiche se paragonate a due anni fa, quando il numero di incidenti era ben più alto (1.516), così come il numero di morti (63) e feriti (2.386). Per quanto riguarda i luoghi, il rapporto Ires evidenzia come il 53 per cento degli incidenti sia avvenuto in un centro urbano, il 47 in aree extraurbane. Le città risultano «meno pericolose» rispetto alla campagna dove sono avvenuti il 70 per cento dei decessi totali.

Un dato particolare riguarda i ciclisti. Nel 2012 in provincia sono avvenuti 140 incidenti che hanno coinvolto almeno una bicicletta, per un totale di quattro morti e 135 feriti. È il numero dei feriti a preoccupare, dato che nel decennio 2001-2010 la cifra si attestava sulle 104 unità. Anche i motociclisti cuneesi non sembrano cavarsela bene: nel 2012 sono stati 146 gli incidenti (quasi uno ogni due giorni), con sette morti e 137 feriti.

La complessità del territorio cuneese, ricco di strade collinari e sovente caratterizzato da insufficiente manutenzione delle infrastrutture, spiegherebbe la ragione per cui, ancora una volta, la provincia si collochi al terzo posto (dietro a Torino e Alessandria) nella classifica delle “peggiori” per numero di incidenti. Le attività di prevenzione nate negli ultimi anni per calmierare la mortalità sembrano aver sortito i primi frutti: la Granda registra, a livello regionale, la più alta riduzione del numero di sinistri tra il 2011 e il 2012.

 Matteo Viberti

IRES La Granda, provincia difficile

Sylvie Occelli è ricercatrice di Ires Piemonte, ha curato il Rapporto 2012 ed è esperta di incidentalità stradale.
Nel complesso la situazione sulle strade regionali è migliorata. Qual è la ragione?
«Nel 2012 il Piemonte ha raggiunto, pur con due anni di ritardo, l’obiettivo posto dall’Unione europea di dimezzare il numero di vittime dal 2001. Le morti sono state 284 con una riduzione dell’11 per cento rispetto al 2011. Tuttavia, è difficile stabilire parametri capaci di spiegare il fenomeno. Potrebbero essere considerati fattori influenti, ad esempio, la contrazione del numero di passeggeri per chilometro (ridotto del 24 per cento in un anno, mentre il numero di spostamenti complessivi in un giorno medio è diminuito di circa il 17 per cento), effetto della crisi, che spinge a spostarsi con mezzi alternativi. Oppure il ricorso a Internet, che riduce la mobilità degli individui. Il cambiamento di gestione da parte della politica, gli interventi coordinati, le campagne di sensibilizzazione, la maggiore attenzione da parte dei conducenti».
Nonostante i miglioramenti, Cuneo conserva primati negativi.
«La Granda è storicamente considerata una provincia difficile dal punto dell’incidentalità stradale. Non credo tuttavia che il fenomeno della produzione vitivinicola sia rilevante di per sé. Altri fattori, ad esempio la mancata progettazione di strade “tolleranti” verso l’errore umano, possono contribuire a spiegare meglio il fenomeno. Se ad esempio una madre al volante si distrae perché il suo bambino piange, è necessario che la strada sia dotata di segnaletica sufficientemente adeguata, di sistemi in grado di impedire la collisione o l’uscita di carreggiata. Inoltre, è doveroso osservare come la provincia di Cuneo sia estesa, ricca di strade extraurbane. Questo parametro potrebbe influire sull’andamento generale dell’incidentalità, così come la massiccia presenza di guidatori anziani, che assumono farmaci alla guida e quindi potrebbero rappresentare un rischio. Quello stradale è un fenomeno complesso. Per comprenderlo serve una visione sistemica, che sappia osservare e interpretare un’elevata molteplicità di parametri. La maggiore o minore coordinazione degli interventi politici potrebbe condizionare le statistiche. Non si può realizzare una vera prevenzione senza un lavoro congiunto tra istituzioni, enti e individui».

m.v.

La strada da amica a nemica

Brigitta, 52 anni, è nata nel Sud Italia, ma abita ad Alba da trent’anni. «La storia inizia quando avevo 16 anni e per la prima volta arrivai in Piemonte. Vivevo con mia madre e le mie tre sorelle in un appartamento minuscolo. Eravamo poveri. Un giorno, mia madre mi disse che non avrei potuto studiare alle scuole superiori perché mancavano i soldi. Studiare era il mio sogno. Ero disperata. Così, decisi di camminare da Alba fino a Nizza, in Francia. Era un gesto provocatorio per sfogarmi, per ripensare la mia vita. Impiegai quattro giorni. Ricordo come la prospettiva con cui “percepivo” la strada non fosse quella abituale. Un’area di sosta, un guard rail posizionato male, la segnaletica, un sorpasso imprudente erano elementi in grado di cambiarmi la vita. Dopo quattro giorni arrivai a Nizza. Ero contenta, la strada mi aveva aiutata a crescere, a superare un momento difficile. La vedevo come mia amica e me la portai “dentro” negli anni seguenti».

 Quando Matteo, primogenito di Brigitta, compì 18 anni, il rapporto tra la strada e la donna cambiò. «Mio figlio si fece comprare la moto. All’improvviso ero preoccupata di ogni cosa. La buca nella strada vicino a casa, la frana, la possibilità che mio figlio guidasse ubriaco. Ero ossessionata dalla strada, mi spaventava. Non capivo come i politici potessero sottovalutare a tal punto l’importanza della manutenzione. Chiedevo a mio figlio di fare attenzione, decine di volte. Scrissi un paio di lettere all’Amministrazione comunale e ai giornali per sollecitare interventi su tratti urbani, sull’illuminazione urbana. A volte sognavo incidenti, tragedie spiacevoli».

Dopo qualche anno, il marito della migliore amica di Brigitta morì in un incidente. Nei pressi della tangenziale di Alba, la macchina finì sotto il rimorchio di un camion. «Fu la materializzazione di tutte le mie paure. La mia amica non è uscita dalla depressione, mai ha superato il lutto. Da quel momento non uso più la macchina. Mi sposto in bicicletta oppure in bus. È meno comodo. Ma almeno sono serena. Considero la strada un rischio, una trappola quasi mortale. La moto di mio figlio riposa in garage, nessuno la usa più».  m.v.

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