Tre parole per il nuovo anno: permesso, grazie e scusa

Ecco il nuovo anno, la città si risveglia, fa freddo, qua e là si sente ancora l’abitudinario e ultimo saluto augurale del nuovo anno. Sono finiti i festeggiamenti, si è celebrato il nuovo tempo, più per l’abitudine che per la realtà del momento. C’è un albero di Natale che aspetta di essere smontato e portato via per una nuova destinazione, forse una discarica o forse in un posto più opportuno. Che cosa c’è da festeggiare in un anno che scompare e uno uguale che si affaccia alla realtà con il peso e le paure di sempre? Questo non si è capito, con una crisi che attanaglia le famiglie e tiene in ostaggio ogni fiducia nel futuro. Forse qualcosa c’è da festeggiare ed è la fiducia, il desiderio che il nuovo anno non abbia più voglia di essere crudele, che il nuovo anno abbia voglia di spazzare via la tristezza e il pessimismo. Con la speranza che questo nuovo anno illumini le coscienze di chi ha perso la responsabilità e che quella luce interiore che giace affievolita nel profondo dell’anima si risvegli e ci aiuti a ritrovare la dignità perduta. Ci sono tre parole che mi sono rimaste impresse in questo interminabile fine anno, parole importanti che potrebbero trasformare i rapporti umani e risvegliare il dialogo e la fiducia nel futuro, tre semplici parole dette da papa Francesco. Sono parole rivoluzionarie, coraggiose, dirompenti, che potrebbero cambiare il sentimento della nostra vita se solo afferrassimo il loro importante significato e con coraggio ne applicassimo il senso: permesso, grazie, scusa.

Bruno Murialdo

Papa Francesco riesce sempre a essere efficace, con i suoi gesti e le sue parole. Uno dei metodi che usa, unito alla semplicità e immediatezza, è la ripetizione. Le tre parole chiave ricordate da Murialdo sono state pronunciate nell’Angelus di domenica 29 dicembre, ma prima ancora nell’omelia durante la Messa della Giornata mariana di domenica 13 ottobre e, successivamente, il 26 ottobre per il pellegrinaggio delle famiglie. Permesso, grazie e scusa sono parole facili da ricordare, il Papa le presenta in riferimento alla famiglia, ma valgono per ogni forma di convivenza: in ufficio e nei posti di lavoro, a scuola, nelle riunioni condominiali, negli incontri delle associazioni e così via. Anche nei luoghi dove si fa politica, dal Parlamento ai Consigli comunali. Sono parole facili da ricordare, ma difficili da mettere in pratica, perché si basano sul fondamentale rispetto dell’altro, un principio che negli ultimi anni è stato sempre più messo in ombra a favore dell’autoaffermazione, dell’egoismo, dell’edonismo. Infatti la crisi in cui ci troviamo e che non smette ancora di mordere non è solo economica e finanziaria, ma prima ancora etica e spirituale. Si sono messi al primo posto gli interessi personali e di parte, un consumismo fine a se stesso, la ricerca della soddisfazione immediata e a tutti i costi. Le tre parole chiave della convivenza proposte dal Papa possono apparire addirittura ingenue. Eppure è da lì che possiamo ricominciare, partendo proprio dalle famiglie e in generale da ciascuno di noi. È troppo facile accusare sempre e solo gli altri per ciò che non va. Ricominciamo da noi stessi: chiedendo permesso, perché l’altro non è un ostacolo da abbattere; dicendo grazie, perché nulla può essere dato per scontato da parte dell’altro; chiedendo scusa, perché l’altro non è un nemico ma un fratello con cui riconciliarsi per condividere il cammino verso il bene comune, verso un domani migliore. Il linguaggio del chiedere permesso, ha spiegato lo stesso papa Francesco, significa non essere invadenti. Il ringraziamento nasce dal saper riconoscere l’amore, il bene, la bellezza che c’è nell’altro, al di fuori di noi. Chiedere scusa permette di ricominciare, ritrovare la pace e l’armonia. Oggi ne abbiamo tutti un gran bisogno per avere ancora speranza nel futuro.

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