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La crisi e la “morte” delle piccole botteghe artigiane

Egregio direttore, sono tanti anni che scrivo ovunque cercando di sensibilizzare su un argomento che mi sta a cuore: la crisi delle piccole botteghe artigiane. Nel 2008 feci stampare a mie spese dei manifesti con scritto “Salviamo le piccole botteghe”, ma nulla è stato fatto. Ho scritto alle associazioni di categoria per stimolarle su quello che stava succedendo, ho avuto molte assicurazioni ma pochi fatti concreti. Intanto le saracinesche dei negozi iniziavano ad abbassarsi. Quello che prevedevo ieri, oggi si sta avverando, centomila negozi hanno chiuso i battenti, tantissimi artigiani sono sull’orlo di un esaurimento nervoso, per non parlare di quelli che con gesti estremi hanno salutato il mondo del lavoro purtroppo per sempre. Si trattava di aiutare queste categorie, di capire l’importanza che avrebbero avuto nella realtà artistica e creativa del nostro Paese, si è preferito spremerle e impaurirle e additarle come incalliti evasori fiscali da combattere.

Oggi è tardi per organizzare delle manifestazioni, risuscitare il cadavere credo che sia impossibile, come credo sia impossibile vedere delle riforme immediate visto i tempi della politica in questo contesto storico. Per questo motivo non voglio partecipare alle manifestazioni, se veramente si voleva fare qualcosa bisognava custodire e proteggere queste botteghe, bisognava dare la possibilità agli artigiani di potersi permettere un apprendista e uno stipendio.

Bruno Murialdo,  Alba

L’artigianato è sempre stato una caratteristica dell’Italia. La capacità di creare, la fantasia, l’inventiva, hanno fatto sì che nei secoli l’Italia arrivasse a eccellere con i suoi prodotti. Da qui è nato in gran parte il made in Italy che ci ha fatto conoscere e apprezzare nel mondo intero. Con l’arrivo della globalizzazione man mano tutto è cambiato (vedi anche il servizio a pag. 8). Ora tutti acquistano tramite la grande distribuzione prodotti perlopiù fatti in serie, di qualità non eccellente (e talvolta scadente), ma molto abbordabili nel prezzo. Con la crisi questa è diventata una necessità per tante famiglie, ma le botteghe artigiane ne hanno fortemente risentito. Così come, sempre a causa della crisi, molti hanno deciso di rinviare, pur avendo ancora possibilità finanziarie, ogni forma di acquisto non immediatamente necessario. A tutto questo si aggiunge una tassazione che, a detta delle associazioni artigiane, è insostenibile, la mancanza di agevolazioni finanziarie e di sostegno legislativo per assumere personale e istruire apprendisti, e una burocrazia soffocante. Qualche anno fa sono stati introdotti gli studi di settore, che spesso hanno finito per far anticipare la chiusura di tanti piccoli artigiani. Non so quale possa essere la soluzione. Ne ho parlato spesso con mio fratello, che ha rilevato l’impresa artigiana di mio padre (mobiliere), ma non si intravedono luci per il futuro. E il nostro Paese perde terreno nell’ambito della creatività, dell’arte manifatturiera, omologandosi e appiattendosi su prodotti di largo consumo. Una delle cose più tristi è che molte persone perdono il gusto di lavorare bene, di produrre qualcosa di bello e duraturo. Sono scoraggiate e amareggiate. Non conosco una soluzione, ma ho sempre avuto l’impressione che non ci sia un’associazione degli artigiani che tenga conto di tutte le diverse e variegate attività che vengono definite artigianali. Per questo è difficile tutelare tutti. In secondo luogo, la politica è stata troppo assente nei confronti di questa categoria, anzi ha spesso solo agito in forma vessatoria a livello fiscale (anche se l’evasione di alcuni ha dato cattiva fama a tutti). Non bisogna però perdere la speranza, mantenendo prima di tutto il gusto per il bello, per le cose fatte a regola d’arte, e poi cercando nuove vie per far conoscere il frutto della propria creatività.

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