Dopo Parigi: perché i «cattivi» alla fine non vinceranno

«A 48 anni sono troppo vecchio per trovare un lavoro?»

Egregio direttore, che cosa resterà dell’attentato terroristico di Parigi? Rimangono i volti. Una foto dal palco del Bataclan scattata a una folla di giovani in festa ignari di dover morire. La lettera di un giovane papà reso vedovo dai terroristi cui egli non concede neppure il privilegio di venire odiati. I sorrisi sui profili Facebook di chi non c’è più. Gli ultimi post prima di andarsene: «Adesso è rock», riferendosi al concerto. Una mamma incinta aggrappata al futuro di suo figlio in grembo, appesa al davanzale del locale. Un dialogo fra un bimbo dagli occhi a mandorla e il giovane padre, ripreso da un’emittente televisiva: «Non siamo costretti ad andarcene», lo conforta il papà, «perché casa nostra è qui, è la Francia». «Ma i cattivi?». «Non vinceranno i cattivi», dice il papà, anche se, commenta il bimbo, «non sono per niente gentili, hanno le armi». Già, continua il papà, «ma noi abbiamo i fiori e le candele». Rimarrà la vita, finito tutto questo.
Teresio Asola

 

don rizzolo antonio_o«Non vinceranno i cattivi, anche se non sono per niente gentili, hanno le armi». A meno di un mese dagli attentati terroristici di Parigi, questa frase è un invito alla speranza, ma anche alla riflessione. I «cattivi» non sono gentili con nessuno, non ce l’hanno solo con noi. Ecco la prima riflessione: assieme alla strage nella capitale francese dovremmo ricordare anche l’aereo russo con 224 persone a bordo abbattuto dall’Isis-Daesh sul Sinai e le migliaia di vittime musulmane fatte dal sedicente Stato islamico. Sono più di ventitremila solo nel 2015. La seconda riflessione: i «cattivi» hanno le armi, certo. Ma chi gliele fornisce, chi li finanzia? Su questo sarebbe auspicabile una riflessione sincera da parte dei Paesi occidentali e di tutti quelli che hanno interessi economici in questa guerra anomala. Ma c’è anche un invito alla speranza: «I cattivi non vinceranno». Non può essere che così, perché il male, l’odio, la violenza si autoalimentano, mentre l’unica soluzione è di segno contrario: il bene, la riconciliazione, la pace. Come ci ha insegnato papa Francesco proprio in questi giorni, andando come pellegrino di pace e di speranza in un Paese tormentato dalla guerra civile come il Centrafrica, una guerra dove i motivi religiosi sono solo apparenti rispetto allo sfruttamento economico di uno dei Paesi più ricchi di risorse al mondo.

Si parla dei fatti di Parigi anche a pagina 12 del numero di Gazzetta in edicola, con l’intervista esclusiva ad un giovane albese che studia nella capitale francese.

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