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Morto Enrico Serafino, portò i grandi del teatro ad Alba negli anni bui

ALBA Per chi ama il teatro e le sue storie, incontrare Enrico Serafino significa ritrovarsi a disposizione un grande almanacco personificato, pieno di illustrazioni e divagazioni; meglio ancora, un ideale album di ritagli, come usavano comporre un tempo gli appassionati, incollando articoli di giornale, fotografie, programmi di sala, spesso in anticipo e con maggior felicità rispetto a molte pubblicazioni ufficiali.

A 88 anni appena compiuti, Serafino è la memoria storica del teatro di prosa ad Alba; ed è ancora il suo il numero di telefono in calce alle locandine dell’Accademia albese delle arti.

L’Accademia venne subito dopo un’altra associazione, quella degli Amici albesi del teatro, sorta a metà degli anni Sessanta, anni in cui la città era tagliata fuori dal circuito teatrale nazionale: «Mai uno spettacolo con qualche celebre compagnia italiana giunge nella nostra città», sintetizzava la protesta di uno studente, che non si accontentava del Carro di Tespi né delle volenterose filodrammatiche; mentre su un altro periodico studentesco, parlando di un fortunato adattamento del Diario di Anna Frank andato in scena a Cuneo, un redattore scriveva: «Come sarebbe bello che questo lavoro girasse in provincia e venisse rappresentato ad Alba. Ma…». Ai puntini di sospensione era accostata la foto del teatro Sociale, chiuso da tre decenni, abbandonato e pericolante, oggetto di annose discussioni fuori e dentro il palazzo municipale.

In questo scenario, l’anno di svolta è il 1965: «Si tenne un incontro sul teatro, a Fontanafredda; mi ero sempre interessato di cinema e teatro, e andai a sentire», ricostruisce Serafino. «Così entrai in contatto con lo Stabile di Torino; andai anche in via Gobetti, a conoscerne il direttore, il regista Franco Enriquez, che aveva fondato la Compagnia dei Quattro. Lui accettò di venire ad Alba a fare un sopralluogo nella sala del cinema Corino. Il palco fu giudicato sufficiente; i camerini meno. Ma Enriquez volle tentare l’esperimento. Saputo che non c’erano grandi contributi comunali, disse che la compagnia sarebbe venuta non a cachet, ma a incasso. Con la differenza, avremmo pagato l’affitto della sala. Quello che Enriquez aveva in mente di portare, era la Locandiera, con una grande Valeria Moriconi nel ruolo di Mirandolina, con Glauco Mauri, le scene di Emanuele Luzzati. Ci fu il pienone: la gente, evidentemente, aveva davvero voglia di vedere uno spettacolo di alto livello».

Fu il primo di una serie di allestimenti dello Stabile firmate da Enriquez, che in breve misero gli albesi in contatto con l’attualità della scena teatrale italiana: I fisici di Dürrenmatt, nel gennaio 1966, fu il secondo; poi vennero Shakespeare (Come vi piace), Cechov (Il gabbiano), il nuovissimo e originale Rosencrantz e Guildenstern sono morti di Tom Stoppard (con Valeria Moriconi e Paolo Ferrari nei ruoli del titolo), il Sartre de Le mosche e La Dame de Chez Maxim’s di Feydeau.

Dietro i cartelloni, con passione e senza compensi, si muove sempre la figura di Serafino, che un articolo di Gazzetta d’Alba nel 1973 – un anno di stallo, in attesa di un più convinto e concreto sostegno del Comune e della Regione – richiama come «uno dei factotum del teatro, l’uomo che spronava le varie associazioni a fare qualcosa, che metteva in contatto la civica Amministrazione con il teatro Stabile di Torino e con le varie altre compagnie; la persona che si interessava a distribuire la propaganda e a vendere biglietti in abbonamento».
«Erano anni difficili, e c’era la situazione del Sociale sempre sospesa», rievoca Serafino. «Un giorno mi giunge voce che sia stato preso in seria considerazione un progetto di demolizione del vecchio teatro; mi viene allora in mente di andare da Luciano Degiacomi, il farmacista, che era anche il presidente della Famija albèisa. Gli dico i miei timori e lui, senza por tempo in mezzo, con il suo piglio deciso, si attacca al telefono e chiama una persona della Soprintendenza. La Famija si interessava da anni della tutela del patrimonio storico di Alba. Finita la telefonata, si volta e mi dice: “Ca staga tranquil”».

Prima che il Giorgio Busca, non demolito ma anzi r1addoppiato, riaprisse i battenti, nel ’97, le stagioni teatrali andavano in scena nel (demolito e rimpianto) cinema teatro Corino di via Mazzini; poi, anni Ottanta-Novanta, in sala Ordet.

E probabilmente un “teatro nel teatro” va considerato il consueto, spesso drastico riadattamento di scenografie pensate per il Carignano o l’Alfieri alle assai più modeste misure locali: «Capitava che mi chiamasse il capo compagnia e mi dicesse: guardi che stasera non possiamo mica andare in scena, qui… o che mi proponessero da Torino o Milano spettacoli in tre atti con tre cambi di scenografia: io, che li avevo già visti, non potevo non preoccuparmi. Ricordo le lamentele di diversi attori: Carlo Giuffré, Adriana Asti con una sua Locandiera; Lilla Brignone portò Così è se vi pare, e si lamentò per il camerino… e ricordo Adriana Innocenti che si toglie la biacca dal viso con l’acqua fredda… alla fine, con qualche salto mortale, gli spettacoli andavano in scena, gli attori diventavano il personaggio… con alcuni è nato un rapporto di cordialità, anche di amicizia».

Il teatro di Enrico Serafino è soprattutto un teatro di attori, mattatori, comici e drammatici: «Vittorio Gassman venne due volte ad Alba; Giorgio Albertazzi più di una; e poi Ottavia Piccolo, Mario Scaccia, Turi Ferro, Carla Gravina, Paola Borboni, Lauretta Masiero, Valeria e Franca Valeri, Ernesto Calindri, Renzo Montagnani, Valter Chiari, Gastone Moschin, Florinda Bolkan, la mitica Milly… Un rimpianto? Non essere riuscito mai, in tutti questi anni spesi a seguire attori e compagnie, ad avere qui la grande Anna Proclemer. Ma sono contento che oggi abbiamo ad Alba un bellissimo teatro, confortevole, moderno, che produce cultura e offre anche posti di lavoro. Come me, che l’ho fatto per passione, ne sarebbe felice anche il dottor Degiacomi, che se ne è andato, purtroppo, poco tempo prima che si risollevasse il sipario».

Edoardo Borra

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