In fondazione Bottari Lattes l’esposizione Prospettive variabili

In fondazione Bottari Lattes l’esposizione Prospettive variabili

MONFORTE
“Prospettive variabili” è il titolo della mostra che la fondazione Bottari Lattes dedica a Renato Brazzani, pittore sperimentale nato a Torino nel 1940 che oggi vive a Monforte. Architetto, Brazzani ha svolto attività professionale di edilizia privata e di architettura degli interni fino al 1976, poi ha scelto la pittura. Collabora con l’Istituto europeo di design di Torino, dove tiene corsi di tecnologia della percezione.

La mostra è visitabile fino al 2 dicembre nella sede della fondazione (in via Marconi 16) dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 12 e dalle 14.30 alle 17.30, il sabato e la domenica dalle 15.30 alle 18.30.

Brazzani, ogni opera d’arte è spiegata dalla vita retrostante. Qual è la sua?

«Dopo la laurea fui impegnato nella professione per dieci lunghi anni. Poi mi stufai perché sentii che la mia vera vocazione era l’insegnamento. Iniziai a collaborare con l’Istituto europeo di design. Vedere i miei studenti – in particolare le loro espressioni perplesse e corrucciate quando non comprendono un concetto, ma desiderose di apprendere – è motivo di infinita soddisfazione e motivazione. Per quanto riguarda la mostra di Monforte, posso dire che in ogni dipinto ho inserito un pezzo della mia vita. A partire dalle vicissitudini familiari o da quelle affettive. In un quadro può abitare la delusione per un ideale spezzato oppure un rapporto interrotto, la fiamma di un nuovo progetto. Sono legato nel profondo alle mie opere».

Lavori che convergono concettualmente sotto il cappello della parola “anamorfosi”. Cosa significa?

«Il filo conduttore delle opere è una prospettiva insolita sul reale, una volontà di sperimentare angolazioni e geometrie differenti. La passione per la geometria solida nasce molti anni fa. Iniziai a studiare le forme da punti di osservazione divergenti e non ortodossi, fino a riprodurle in modalità alternative e dipendenti dal punto di analisi. Uno sgabello ad esempio può diventare la sua ombra, e l’ombra può diventare lo sgabello a seconda della prospettiva. Uno dei miei primi lavori è stato L’autoritratto americano: se bisogna “prendere in giro” il reale sperimentando geometrie differenti, meglio farlo con sé stessi. In questo modo, non si rischia di creare malcontento».

La sua è un’arte fortemente sperimentale. Esiste una critica sociale nel suo lavoro, un tentativo di descrivere il mondo circostante?

«Sono mosso principalmente dal desiderio di dipingere. Il processo creativo comincia già quando entro nel negozio per acquistare la tela: sebbene non abbia la più pallida idea di cosa voglio fare dal punto di vista contenutistico, in qualche modo la composizione prende forma. Per quanto riguarda il mondo esterno, mi ritengo non adatto a comprendere né ad assecondare il progressivo e predominante subentrare della tecnologia. Preferisco la maglietta, il pennello e il sudore del dipingere».

Matteo Viberti

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