Il vino va, in Italia e anche all’estero

Piemonte: l’export aumenta del 15% Langa e Roero sul podio con i vini

ANALISI Non ci sono dati ufficiali, e d’altra parte non ci possono ancora essere poiché non ci sono i tempi tecnici per mettere insieme i dati dell’export del vino italiano nel 2017. Tuttavia, alcuni organismi e realtà istituzionali stanno diramando le loro previsioni in attesa che i dati reali possano confermarle o smentirle. È il caso della Coldiretti nazionale, che ha recentemente diramato le proprie stime sul valore dell’export di vino italiano nel 2017. Secondo l’associazione agricola, le esportazioni sarebbero cresciute rispetto al 2016 toccando la quota di 6 miliardi di euro. Si tratta di un dato importante, anche superiore alle previsioni del Ministero per l’agricoltura e del ministro Martina, che nei mesi scorsi aveva ipotizzato per il 2017 il raggiungimento della quota di 5,5 miliardi di euro.

I mercati più dinamici. Secondo le stime di Coldiretti, sarebbero cinque i mercati trainanti. Uno è quello degli Stati Uniti, che da almeno tre anni rappresenta la meta preferenziale per le nostre esportazioni di vino, con un apporto del 6% alla crescita globale del nostro export enoico. Dati positivi verrebbero anche dai mercati tedesco e inglese, con un +3% per il primo e un +8% per il secondo. Stupisce in particolare l’incremento del mercato britannico, proprio in concomitanza con i negoziati della Brexit.

Note ancora più favorevoli arriverebbero dal mercato russo, che avrebbe ripreso a macinare consumi anche grazie al fatto che il vino è uno dei pochi prodotti non colpiti dall’embargo. L’incremento del mercato russo sarebbe addirittura del 47%. Riscontri favorevoli deriverebbero anche dal mercato cinese, con un +25% sul 2016, anche se in quel Paese il vino italiano ha molti concorrenti e non soltanto da parte del tradizionale competitor (la Francia), ma anche da Paesi del Nuovo Mondo (Australia, Nuova Zelanda e alcuni Stati sudamericani).

A quanto pare, un apporto fondamentale a sostenere i dati dell’export vitivinicolo sarebbe venuto dagli spumanti, con un +15% in valore rispetto al 2016 e con un dato complessivo che per la prima volta avrebbe superato 1,2 miliardi di euro.

Buone nuove dall’Italia. Ma le buone notizie per il nostro vino verrebbero, secondo Coldiretti, anche dall’Italia, dove si sarebbero consolidate le vendite dei vini Doc, Docg e Igt a scapito dei vini comuni. Gli acquisti delle famiglie avrebbero privilegiato i vini a Denominazione di origine (+5%), quelli Igt (+4%) e gli spumanti (+6%). Globalmente, i vini di origine avrebbero incrementato il mercato del 3%, mentre i vini comuni sarebbero retrocessi del 4%.

Nel nostro Paese, poi, sembra essersi interrotto il calo del consumo di vino, dopo che negli ultimi 30 anni si era assistito al lento scivolamento verso i 33-35 litri pro capite. Non possiamo parlare di inversione di tendenza, ma l’arresto della caduta pare un primo dato positivo, anche se non siamo in grado di tenere il ritmo dei francesi, che dispongono ancora di 45 litri annui di consumo a testa.

Ma c’è un altro dato che dovrebbe far riflettere: secondo uno studio dell’Università di Adelaide (Australia), in 50 anni il vino avrebbe dimezzato la sua presenza nel consumo delle bevande alcoliche. Negli anni Sessanta su 100 litri di bevande alcoliche consumati, 30 erano di vino. Nel 2016, il dato è sceso a 15 litri e questo va inteso come un campanello di allarme, nonostante i dati favorevoli dell’export e del mercato del vino italiano.

Giancarlo Montaldo

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