Ici sulle attività commerciali della Chiesa: l’Ue impone all’Italia di recuperarla

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Lo Stato italiano deve recuperare l’Ici non pagata dalla Chiesa: è quanto hanno stabilito i giudici della Corte di giustizia dell’Unione europea accogliendo il ricorso della scuola Maria Montessori di Roma, sostenuto dal Partito radicale in cui si sostiene di trovarsi in una posizione di concorrenza sfavorevole nei confronti di enti ecclesiastici o religiosi che esercitavano attività analoghe ma con un carico fiscale più basso. La corte ha così annullato la decisione della Commissione del 2012 e la sentenza del Tribunale Ue del 2016 che avevano sancito «l’impossibilità di recupero dell’aiuto a causa di difficoltà organizzative» nei confronti degli enti non commerciali, come scuole, cliniche e alberghi. I giudici hanno ritenuto che tali circostanze costituiscano mere «difficoltà interne» all’Italia.

La Corte di giustizia ha ritenuto invece legittime le esenzioni dall’Imu, l’imposta succeduta all’Ici, introdotte dal governo Monti.

«Le attività sociali svolte dalla Chiesa cattolica trovano un adeguato riconoscimento da parte della Corte di giustizia europea. la corte, infatti, conferma la legittimità dell’Imu – introdotta nel 2012 – che prevede l’esenzione dell’imposta, quando le attività sono svolte in modalità non commerciale, quindi senza lucro».

È il commento di mons. Stefano Russo, segretario generale della Cei, in  merito alla sentenza con cui la  Corte di giustizia europea annulla la decisione della Commissione europea, che rinunciava a ordinare il recupero di aiuti concessi dall’Italia sotto forma di esenzione dall’imposta comunale sugli immobili. «La sentenza – spiega Russo – rileva che la Commissione avrebbe dovuto condurre una verifica più minuziosa circa l’effettiva impossibilità dello Stato italiano di recuperare le somme eventualmente dovute nel periodo 2006-2011. Le attività potenzialmente coinvolte sono numerose – aggiunge – e spaziano da quelle assistenziali e sanitarie a quelle culturali e formative, attività, tra l’altro, che non riguardano semplicemente gli enti della Chiesa».

Il Segretario  riferisce inoltre che  la Cei ha più volte ripetuto  in questi anni che chi svolge un’attività in forma commerciale,  come ad esempio  di tipo alberghiero, è tenuto, come tutti, a pagare i tributi. Senza eccezione e senza sconti. «È necessario distinguere la natura e le modalità con cui le attività sono condotte», conclude il Vescovo. «Una diversa interpretazione, oltre che essere sbagliata, comprometterebbe tutta una serie di servizi, che vanno a favore dell’intera collettività».

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