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Il dito nell’occhio, sei anni di satira firmata da Sting

PRESENTAZIONE Da sei anni la prima pagina di questo giornale è riconoscibile anche per via di un tassello rosa, vagante più o meno a mezza altezza. È un distretto particolare, la zona franca del Dito nell’occhio, lo spazio che ogni settimana s’incarica di contenere una punzecchiatura, più o meno bonaria, del cittadino albese che, in calce alle sue concise pasquinate, ha scelto di firmarsi semplicemente Sting («puntura», dice appunto il vocabolario).

Ora Gazzetta d’Alba ha pensato di raccogliere in un libro, illustrato dagli studenti delle quinte A e B del liceo artistico, quasi l’intero campionario, che supera di molto quanto pubblicato; il volume, destinato in regalo agli abbonati, sarà presentato martedì 22 gennaio, presente il celebre vignettista Sergio Staino.

Il dito nell’occhio, sei anni di satira firmata da Sting 1

Come da un piccolo avamposto civico, Sting passa ogni giorno al vaglio il panorama albese (e non solo) e reagisce con malizioso stupore di fronte a notizie di politica e costume, a voci accreditate o di corridoio, alle bellezze e bizzarrie degli esseri umani, e in generale ai cosiddetti tempi che corrono: a rileggere tutto insieme, vien fuori non solo una galleria di battute, ma una cronaca sui generis di questi nostri anni diseguali, pressapochisti, smemorati. I modelli qui fusi insieme, volendo, sono le antologie delle Formiche curate da Gino e Michele, e gli almanacchi: «Una volta si tirava la cinghia. Adesso che siamo istruiti, si fa spending review»; «Solo extracomunitari a raccogliere frutta. I giovani italiani non fanno certi lavori. Poi vanno in Inghilterra e li fanno là»; «Molte banche sono cattive: si prendono le proprietà dei falliti che non restituiscono i prestiti. Alcune sono buone: falliscono loro»; «I Dieci comandamenti spiegati da Benigni, l’enciclica del Papa commentata da Carlin Petrini. Il mio parroco sta avendo una crisi di identità». Il libro ripartisce le “ditate” in dieci capitoli: società, personaggi, Alba, manifestazioni, politici, fiere, scuola, Chiesa e santi. Tre argomenti che in questa città sono ormai diventati materia di racconti orali trasmessi da una generazione alla successiva, si prendono da soli un capitolo, intitolato Problemi: il Tribunale, l’autostrada, l’ospedale. Là dove serve, giusto per fornire un appiglio a una futura lettura più lontana dai fatti, Sting ha compilato noticine di contesto: nelle quali, per non smentire una incontenibile inclinazione, ha disseminato ogni tanto qualche ulteriore commento umoristico (d’altronde, proprio in una di queste denuncia di avere «in fondo poco più di cinque anni», e dunque di «giocare volentieri»). Chi sia effettivamente, codesto Sting, è questione ormai oziosa: «è tutti e ognuno di noi», scrive Giusto Truglia, direttore di Gazzetta, introducendo la raccolta, correttamente rimarcandone l’universalità del carattere e la funzione sanamente moralistica.

Il fatto è che Il dito nell’occhio è un territorio difficile, anche per il suo autore: già eredita un titolo storico, quello della prima rivista di Dario Fo, e poi approda in prima pagina a fare, travestito da gagman, nientemeno che il corsivista. Perché in fondo, le punture di Sting sono dei corsivi ipercondensati («Scuola. Boom di iscritti agli istituti alberghieri. Purtroppo c’è un guaio: tutti vogliono diventare Cracco») e al loro meglio si piazzano dalle parti di Riccardo Barenghi (Jena) o di molti acuti vignettisti satirici.

La battuta è una misura delicata e risicata, per costruzione e ritmo; si basa spesso sul rovesciamento delle attese, sull’obliquità dello sguardo; e bastano pochi gradi per alterarla, spegnerla, farla franare. Non ne esiste una universale: non tutti ridiamo alle stesse invenzioni. Sting, dal canto suo, dimostra di possedere una cultura umoristica tanto varia quanto elastica, che va dal buon vecchio cabaret ai grandi scrittori comici (da Marcello Marchesi agli stand up comedian americani). Cioè da una battuta come questa: «L’aeroporto di Levaldigi si salverà solo aumentando passeggeri e carichi pesanti. L’on. Crosetto proverà il salvataggio viaggiando il più possibile»; all’annuncio: «Carne rossa cancerogena! “Il leone e il vitello giaceranno insieme” e dopo questa notizia il vitello dormirà più tranquillo». O quella su Kim Jong-Un: che oggi pare relativamente mansuefatto, ma aveva «studiato nove anni nella neutrale Svizzera. Tornato a casa, ha subito dichiarato guerra».

C’è qualcosa che ricorda il famoso apologo di Harry Lime ne Il terzo uomo, quello sui cinquecento anni di pace e concordia elvetica che hanno fruttato giusto gli orologi a cucù: qualcosa di rovesciato, appunto – un’inattesa ditata nell’occhio.

e.b.

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