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Don Vigolungo: i cinque pilastri che reggono la vita d’un grande formatore

DON AGOSTINO VIGOLUNGO Il 24 gennaio, nella Giornata del Seminario, Battista Galvagno ha rievocato la figura e la spiritualità di don Agostino Vigolungo, nato a Benevello nel 1909, teologo e direttore spirituale in Seminario, autore di diversi libri (alcuni citati nell’articolo), morto nel 1986. Pubblichiamo un brano della relazione, rimandando al testo integrale sul sito della diocesi: www.alba.chiesacattolica.it.

Cinque pilastri portanti: sono delineati con grande chiarezza nei suoi ultimi scritti, considerati il suo testamento spirituale: un’autentica miniera d’oro.

1) Un corretto e maturo rapporto con Dio: consapevoli che l’aver ricevuto tutto da lui ci consegna il compito di essere gloria di Dio (Essere rivelazione). Cosa significhi essere gloria di Dio, prima di Balthasar l’ha scritto san Paolo in 2Corinzi: «Noi tutti, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine, secondo l’azione dello Spirito del Signore» (3,18). Nessun uomo brilla di luce propria: dimenticarlo o presumere di fare a meno di Dio è quel tipo di vanità che Bernanos chiamava «la tranquilla sufficienza degli imbecilli» (pag. 35).

2) Una lettura dell’Antico Testamento in chiave profetica, alla sequela di Geremia e Isaia. In Fratelli dei profeti (pag. 70) leggiamo: «Questa fu sempre la missione dei profeti: salvare dalla deformazione, dalla falsificazione, dalla vanificazione la pratica religiosa». Geremia, in particolare è letto come il profeta della Parola, che definisce «la gioia e la letizia del mio cuore» (pag. 81), invitando a lasciar «lavorare in te la Parola, come la vedresti volentieri lavorare negli altri». Il fondamento della vita spirituale è sempre lo stesso: la parola di Dio. L’ascolto della Parola e il dialogo con Dio sono come l’ossigeno, elementi indispensabili per tenere viva la vita spirituale. Isaia è il profeta che annuncia la presenza rassicurante di Dio in un mondo in progressiva desertificazione, ma capace ancora di fiorire, perché il bene può ancora germinare e portare frutti (pag. 95). Fondamentale in Isaia è l’invito alla «seconda conversione»: tutti ricordiamo l’insistenza di don Agostino su questo passo fondamentale per la vita spirituale. La prima conversione è il salto della fede; la seconda è accettare di essere «presi e portati da Dio» (pag. 106), consapevoli del limite delle proprie capacità e delle proprie forze.

Don Vigolungo: i cinque pilastri che reggono la vita d’un grande formatore
Don Agostino Vigolungo (1909-1986) con i paramenti liturgici e, a sinistra, con don Natale Bussi. Fu direttore spirituale in Seminario.

3) Una lettura del Nuovo Testamento in chiave relazionale, come incontro con Gesù vivo. La spiritualità deve poggiare sulla solida convinzione di essere amati personalmente da Dio. Questo suo amore per noi ci è stato manifestato da Gesù e, secondo don Agostino, ha la sua più efficace espressione nella «preghiera sacerdotale» che anticipa e spiega la passione-morte-risurrezione (Quelli per i quali Gesù prega). Queste pagine di Vangelo però non vanno solo lette, vanno meditate: solo la meditazione è fonte di entusiasmo e di carica di vita spirituale. Anche qui una citazione emblematica: «Fare meditazione non è avere di tanto in tanto o magari anche spesso dei pensieri spirituali. I latini distinguevano tra cogitationes (pensieri) e meditationes (una riflessione prolungata). I buoni pensieri sono paragonabili a un fuggevole controllo allo specchio per verificare di essere a posto; le meditazioni sono il mettersi e restare in forma» (pag. 78).

4) Un sereno e positivo rapporto con sé stessi, che aiuti a mettere in gioco la vita (Quelli che mettono in gioco la vita). È il testo da cui viene fuori l’immagine della vita spirituale come giocare bene le proprie carte e le proprie doti. Prendo solo tre brevissimi spunti. Il primo: a giocare siamo noi, con la pienezza della nostra umanità: «La contemplazione non è il vivere d’aria, ma alla costante presenza di Dio» (pag. 60). Secondo: per impostare il gioco della vita dobbiamo, all’occorrenza, «couper court» (pag. 23), tagliare corto, non lasciarci invischiare in riflessioni inutili avendo il coraggio di sorpassare, di andare oltre quello che ci blocca il cammino. Terzo: avere il senso del limite: il limite fisiologico, cioè la salute, il limite intellettuale, esemplificato dal santo Curato d’Ars che pare copiasse abitualmente le prediche, il limite del carattere, facendo però attenzione a non farlo diventare un alibi, il limite della sensibilità, dell’entusiasmo: non sempre e non per la vita intera si può andare a tutta, soprattutto quando si è a corto di benzina (pagg. 181-182)!

5) Una corretta pietà mariana: avere in Maria un punto di riferimento. (Maria, icona della Chiesa e nostra). Una solida pietà mariana ha come punto di riferimento la Scrittura e la liturgia. L’idea di fondo che riassume tutte le altre è questa: Maria è icona della Chiesa e nostra, perché spera, crede e ama (pag. 146).

Battista Galvagno

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