I Roses fanno la loro guerra sul palco albese

L’INTERVISTA Nessuna coppia cinematografica si è scontrata come i coniugi interpretati da Kathleen Turner e Michael Douglas in La guerra dei Roses, successo del 1989 diretto da Danny De Vito. Ma non tutti sanno che Warren Adler, che scrisse il romanzo e il soggetto del film, ne realizzò anche una versione teatrale. A distanza di trent’anni, i Roses si ripresentano al pubblico, ma questa volta sul palcoscenico, in un adattamento italiano. Lo spettacolo, diretto da Filippo Dini, farà tappa al Sociale di Alba domenica 10 febbraio, alle 21 (ma per verificare eventuali disponibilità di posti si consiglia di telefonare il giorno dello spettacolo al numero 0173-29.24.70, dalle 19).

I Roses fanno la loro guerra sul palco albese
Matteo Cremon e Ambra Angiolini sulla scena di La guerra dei Roses.

I panni dei protagonisti sono vestiti da Ambra Angiolini e Matteo Cremon, affiancati da Massimo Cagnina ed Emanuela Guaiana. Si tratta di una commedia a metà tra il crudele e il comico, che narra la lenta e terribile separazione di una coppia in apparenza perfetta: lui, Jonathan, un uomo d’affari assorbito dalla carriera; lei, Barbara, la moglie devota che lo ha accompagnato verso il successo. Sarà lei a rompere l’idillio, vedendo nel marito la causa della sua mancata realizzazione professionale.

Matteo Cremon, cosa caratterizza la versione teatrale di La guerra dei Roses?

«La vicenda che si sviluppa sul palcoscenico è fedele al film, con la differenza che il teatro è dal vivo e questo rappresenta un valore aggiunto: l’emozione è diretta e si possono cogliere tutte le sfumature del rapporto tra Jonathan e Barbara, che dall’amore passa all’odio e alla vendetta. Questa evoluzione in negativo è sottolineata dalla scenografia, che riproduce una casa sontuosa e diventa un ulteriore personaggio della storia. Proprio come il matrimonio tra i Roses: anche il loro nido si sgretola e perde i pezzi, fino a un punto di non ritorno».

Com’è stato calarsi nei panni di Jonathan?

«Visto il successo del film dell’89, il paragone con Michael Douglas era inevitabile. Così ho evitato di vedere il film, lasciandomi guidare dalle indicazioni di Dini. Alla fine sono arrivato a delineare la mia versione di Jonathan: un uomo puro, una sorta di eterno bambino concentrato su sé stesso, ma allo stesso tempo profondamente innamorato della moglie. Per questo di fronte al desiderio di emancipazione di Barbara e alle sue accuse, in un primo momento rimane sbalordito, perché mai si sarebbe aspettato una situazione del genere. Verrà coinvolto nella violenta guerra coniugale, ma resterà sempre diviso tra l’odio e l’amore nei confronti della moglie. Dal punto di vista interpretativo, calarmi nei panni di questo personaggio è stato complesso e totalizzante, ma posso dire di essermi affezionato a Jonathan Roses».

Perché questa storia continua a coinvolgere così tanto il pubblico?

«Il tema trattato è attuale: si parla della mancanza di comunicazione tra un uomo e una donna, della fine del loro rapporto. Alla base ci sono dinamiche realistiche, esasperate attraverso le crudeltà reciproche messe in atto da Jonathan e Barbara, che a tratti fanno sorridere ma sono anche drammatiche: se dovessimo definire La guerra dei Roses, potremmo parlare di una commedia dark».

f.p.

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