Il silenzio calò su Maria Teresa Novara, 13 anni

Rapita, abusata, morta incatenata. Aveva 13 anni
Maria Teresa Novara

L’INTERVISTA «È una storia che ho conosciuto molti anni fa, ma mi mancava la chiave giusta per raccontarla»: così lo scrittore torinese Alessandro Perissinotto inizia a parlare del suo nuovo romanzo, Il silenzio della collina, edito da Mondadori. Il protagonista si chiama Domenico Boschis, un attore che ritorna nelle Langhe dopo anni di assenza: suo padre, con il quale ha rotto ogni rapporto, è in fin di vita. Ma nell’hospice in cui è ricoverato, non c’è traccia dell’uomo autoritario di un tempo. Al suo posto c’è un anziano fragile, che pronuncia a fatica le sue ultime parole: «La ragazza, Domenico, la ragazza!».

È così che nel romanzo irrompe la storia vera di Maria Teresa Novara, 13 anni, trovata morta nell’agosto 1969 in una botola scavata nei sotterranei di cascina Barbisa, a Canale. Era stata rapita nel dicembre dell’anno prima dalla casa degli zii, a Villafranca d’Asti, da Bartolomeo Calleri e Luciano Rossi, con l’intento di chiederne il riscatto.

Maria Teresa trascorse quei mesi incatenata in una stanza sotterranea e lasciata in balìa delle perversioni di uomini adulti. La sua prigione fu trovata quando Calleri morì affogato nel Po, mentre cercava di fuggire dopo un tentato furto a Torino. Il suo complice fu arrestato, senza proferire parola sulla bambina. Dopo più di un sopralluogo, gli inquirenti la trovarono, morta asfissiata perché qualcuno aveva tappato la presa d’aria della botola. La vicenda ebbe un grande eco sui giornali di tutta Italia, dove Maria Teresa venne descritta come una ragazza dedita al vizio e non come la vittima di un branco di pedofili rimasti impuniti. Muovendosi tra verità e narrativa, Alessandro Perissinotto scava all’interno della vicenda e in una piaga drammatica della nostra società.

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Perissinotto, com’è nata l’idea di questo romanzo?

«La vicenda di Maria Teresa Novara è rimasta per molti anni chiusa nella mia mente: come accade spesso, cercavo la chiave giusta per raccontarla. Sono partito dalla verità contenuta nelle carte della magistratura, ma come scrittore ho voluto portare avanti un lavoro diverso rispetto all’inchiesta giornalistica. Non mi interessava riportare i dettagli come in un articolo di cronaca, ma piuttosto scavare nella storia da altri punti di vista. L’ho fatto con un impianto romanzesco, che mi ha permesso di ricostruire il clima in cui la vicenda è maturata, per i troppi silenzi che si sono accumulati negli anni. Così, accanto alla storia vera di Maria Teresa, ho ideato quella possibile di Domenico Boschis, di suo padre e del rapporto complesso tra due generazioni diverse».

Come s’immagina dal titolo, il clima omertoso che si è creato attorno alla morte di Maria Teresa sembra essere molto importante nel libro.

«Lo è, ma non parlerei di omertà. Piuttosto utilizzerei il termine rimozione, che descrive qualcosa di ancora più forte: un’intera generazione si è negata la possibilità di raccontare la verità o semplicemente di accennare a quanto è accaduto a Maria Teresa, come per cancellare la sua morte, per dimenticarla per sempre. E non mi riferisco soltanto alla comunità locale, ma a tutto il Paese: non dimentichiamoci che i principali giornali nazionali ne parlarono, con titoli che non fecero altro che infangare la sua memoria».

Il silenzio calò su Maria Teresa Novara, 13 anni

Il libro è ambientato nelle Langhe e nel Roero: il paesaggio ha avuto un ruolo importante?

«Sono partito dalla vicenda in sé, quindi il paesaggio è stato in realtà una scelta obbligata. Fatta questa premessa, più di un ruolo va riconosciuto alle Langhe. Prima di tutto, in più punti il protagonista si trova a osservare la terra in cui è nato e a riflettere sulla sua straordinaria evoluzione, grazie al lavoro mirato e intelligente dei suoi abitanti. Ma soprattutto ho scelto di recuperare i grandi scrittori del territorio: dalla società contadina descritta da Fenoglio, per quanto riguarda la concezione della donna per esempio, a La luna e i falò di Pavese, il cui protagonista è un uomo che ritorna nel suo paese dopo molti anni».

Perché oggi è così importante conoscere la storia di Maria Teresa Novara?

«Purtroppo non è raro leggere di rapimenti di bambine e di giovani donne, che ricordano la sua storia. Di fronte a queste notizie, mi è capitato di chiedermi: se ne avessimo parlato di più, sarebbe successo lo stesso? La violenza sulle donne e il femminicidio non appartengono soltanto al presente, ma hanno radici molto lontane. In Italia è impressionante il numero di donne uccise per mano di uomini, com’è accaduto cinquant’anni fa a Maria Teresa: credo che parlarne e non dimenticare sia una delle armi più efficaci che abbiamo a disposizione».

Francesca Pinaffo

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