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Elisa va nel Paese delle mille colline

Elisa va nel Paese delle mille colline

CHILDREN MIGHT FOUNDATION Cmf è un’associazione ruandese che agisce in favore dei bambini bisognosi, in particolare per la loro istruzione, a partire dal sostegno per rendere le famiglie economicamente autosufficienti. È possibile per tutti donare on-line attraverso il sito www.childrenmightfoundation.org

REPORTAGE «All’inizio del 1994 in Ruanda vivevano circa 7 milioni di persone», scrive Daniele Scaglione in Istruzioni per un genocidio. Rwanda: cronache di un massacro evitabile, edito dal Gruppo Abele. «New York nel 2001 contava circa 16 milioni di abitanti. L’11 settembre del 2001 l’attentato al World trade center ha causato la morte di 2.893 persone. Dal 6 aprile al 19 luglio del 1994 è come se in Ruanda le Twin towers fossero state abbattute tre volte al giorno. Tre volte al giorno, entrambe le torri distrutte, per 104 giorni di fila. Sono 10mila morti al giorno, 400 ogni ora, 7 al minuto, per un totale di 1.074.017. Le donne vittime di violenza sessuale durante il genocidio furono circa 250mila, delle quali il 70 per cento delle sopravvissute contrasse l’Hiv, perché i violentatori erano uomini scelti e il criterio della scelta era essere affetti dal virus. Non bastava uccidere: bisognava annientare corpo e spirito. Francine, Fabrice, Bernardin e tantissimi altri, bambini che fino a pochi minuti prima mangiavano patatine fritte, bevevano Fanta e giocavano a pallone con la tuta dell’Adidas, furono trucidati, molti in braccio alle madri, tutti sotto gli occhi indifferenti di un mondo che sapeva eppure decise di tacere, che per non vedere si voltò dall’altra parte».

Elisa va nel Paese delle mille colline
La nostra collaboratrice Elisa Pira ogni anno fa la volontaria in diversi Paesi del mondo. Qui la vediamo con i piccoli ruandesi ai quali si è dedicata;

LA MATTANZA

È un passato recente di cui ogni ruandese porta il marchio a fuoco. Parlarne è tabù, ma restano le testimonianze dei sopravvissuti alla mattanza e i memoriali disseminati ovunque. Il principale, a Kigali, dedica una sezione alle cause che portarono al sangue, da rintracciarsi nel colonialismo, e un’altra ai numerosi genocidi avvenuti nel mondo (Germania, Cambogia, Balcani ecc.), a ricordare che quanto accaduto non è legato a un luogo o a una società, bensì a una politica di odio e al suo apparato di propaganda.

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È un passato recente di cui il resto del mondo sa poco. Io sono qui per conoscere, ma anche per fare. Perché se tanti sono morti e molti sopravvissuti sono ancora rifugiati nei Paesi vicini, tanti ruandesi sono invece rimasti o ritornati, e sono impegnati a far ripartire la loro casa. È per loro che sono qui.

IL CAMBIAMENTO

Il Ruanda è meraviglioso. Il “Paese delle mille colline”, così lo chiamano per la sua conformazione geografica, è coperto da verde. Un mese non basta per riempirmi gli occhi. Lo sguardo si perde tra le terre coltivate a sorgo, riso e tè da contadini avvolti in stoffe colorate. Dopo il genocidio il Paese ha saputo reinventarsi. Colpisce la modernità della capitale, Kigali: la città è pulita, ricca di palazzi con facciate di vetro e giardini curati, strade ampie e ben rifinite. Sembra una cittadina svizzera. Le campagne viaggiano con un ritmo diverso: le case sono di terra rossa, senza elettricità, senz’acqua. Ogni mattina, andando al lavoro, passo accanto a lunghe file di donne in coda ai pozzi con la loro tanica di plastica gialla da riempire. La strada, larga e liscia, di nuova costruzione, è affollata di vecchie, pesanti biciclette di ferro, cariche di merci e di persone che percorrono a piedi le lunghe distanze che le separano dalla scuola o dall’impiego: gli africani sono un popolo in movimento, ma le auto restano un lusso per pochi.

IL PROGETTO

Presto servizio di volontariato a Rwamagana per la Children might foundation, un’organizzazione che porta avanti diversi progetti di sviluppo rivolti principalmente a donne e bambini. L’obiettivo non è di «regalare la pagnotta», bensì insegnare a fare il pane. Sono qui per lavorare in una scuola, ma quando arrivo è al progetto agricoltura che urge sostegno: occorre preparare i campi per la semina del sorgo, perché la stagione delle piogge si avvicina e quell’acqua andrà sfruttata. Il progetto coinvolge una trentina di donne, che ogni mattina si alternano a zappare il campo. Fa caldo e la terra è dura, le erbacce sono tante, ma si lavora cantando e chiacchierando, loro con i figli e i nipoti appesi alle schiene, sotto il sole rovente.

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Mi accompagnano a conoscere le famiglie. Entro in tante case di terra, siedo su panche di legno malridotte in stanzini bui, il loro salotto. Eppure non c’è casa in cui non mi senta la benvenuta, anzi, la benvoluta. In ogni capanna, sembra che stiano aspettando me e mi accolgono nel loro mondo di fango. Il monitoraggio delle famiglie bisognose permette di capire quali sono le necessità e come indirizzare gli aiuti. Nella maggior parte dei casi si tratta di madri sole con numerosi figli. Alcune donne, grazie al microcredito, hanno aperto la loro piccola impresa, che permette di sostentare la famiglia: con un centinaio di dollari si dota una sarta di macchina da cucire, permettendole d’immettersi nel mercato e di mantenere i figli, riconquistando denaro e dignità. Queste donne non chiedono elemosine, presentano un progetto per rendersi indipendenti. Grazie alle donazioni, i figli possono andare a scuola.

LA PAURA DEL BIANCO

L’organizzazione stessa ne ha aperta una due anni fa, dove io vado a insegnare inglese. Un bimbo, Blaise, piange e ha crisi isteriche per una settimana a causa della mia presenza: è molto piccolo, non ha mai visto un bianco prima di allora e ne è terrorizzato. Il diverso è così: a volte incuriosisce, altre spaventa. Servono sette giorni per conoscersi e diventare amici, poi anche lui si comporterà come gli altri: girerà la mia mano per controllare il colore del palmo, seguirà con l’indice le venuzze azzurre che si intravedono sui miei polsi, mi darà leggeri pizzicotti sulle braccia per vedere l’arrossamento della pelle bianca. Sette giorni, e Blaise verrà ad abbracciarmi senza che io glielo abbia chiesto e guardandomi non vedrà più il colore, ma la persona.

Il timore del diverso accomuna tutti, ma non tutti reagiscono con curiosità di fronte alle differenze. Per qualcuno scatta la paura, che a volte l’ignoranza, intesa come mancanza di conoscenza, trasforma in ostilità. Dove non arriva il cuore, possa la ragione.

Elisa Pira

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