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Bertolusso: servono strategie per assicurare a tutti le cure

MMonchiero ottimista sulla nuova legge sulle assicurazioni di medici e ospedali

SANITÀ  «Le forme di associazione tra medici sono necessarie, ma nella realtà spesso le cose non funzionano come dovrebbero: ci serve più supporto». A dirlo è Luciano Bertolusso, medico e segretario per la provincia di Cuneo della Fimmg, la Federazione italiana dei medici di famiglia. Nel suo studio a Sommariva Perno, dove segue 1.500 assistiti, ha registrato una media di 15.800 accessi l’anno, con un incremento costante negli ultimi otto.

«I motivi? L’età media è aumentata e di conseguenza le patologie, insieme alla medicalizzazione di disturbi che un tempo non prevedevano terapie», spiega. Di fronte a una richiesta sempre maggiore, l’assistenza si è evoluta, a partire dalle forme di associazione tra medici. «Oggi è superata la visione del sanitario come un soggetto isolato: pur lasciando ai pazienti libertà di scegliere il loro medico di fiducia, siamo chiamati a coordinarci, in modo da essere capillari sul territorio. In effetti, guardando alla nostra zona, quasi tutti i medici di famiglia hanno aderito a forme di associazione, per motivi logistici e per garantire una maggiore disponibilità».

Però, se tutto va bene nelle intenzioni, la realtà pratica è diversa: «Un unico studio condiviso? Con le spese necessarie per una segretaria e l’affitto, è una soluzione quasi sempre praticabile solo nei centri più grandi, dove il numero degli accessi è maggiore. La medicina in rete? Sarebbe una buonissima soluzione, se non fossimo penalizzati da connessioni Internet precarie, con difficoltà ad aggiornare le cartelle mediche, che si basano sempre e solo su documenti cartacei. È vero che in caso di adesione a queste formule abbiamo diritto a incentivi, ma sono irrisori rispetto alle spese che siamo chiamati a sostenere ogni giorno: né l’accordo nazionale né l’accordo regionale in vigore ci supportano in tal senso».

Anche per Bertolusso l’ospedale di Verduno può essere un’opportunità per cambiare: «Le cure territoriali devono essere ripensate. L’ospedale servirà per i casi più gravi e le altre situazioni dovranno essere gestite con la combinazione di più elementi: l’assistenza domiciliare, le strutture residenziali come le case di riposo e le case della salute. Ma il vero cambiamento è vedere queste ultime non come strutture fisiche, ma come una rete di servizi diffusi. Altrimenti il rischio è che soltanto i medici di famiglia presenti nei due centri principali possano utilizzare i vantaggi di una struttura messa a disposizione dall’Asl, mentre chi si trova nei paesi dovrà continuare a fare i salti mortali per gestire un numero sempre maggiore di utenti e affrontare i problemi».

C’è la questione degli anziani seguiti nelle case di riposo, per esempio, «per i quali non c’è una regolamentazione precisa nel contratto regionale, nonostante necessitino spesso di cure continuative e delicate una volta dimessi dall’ospedale: tutto si basa sull’impegno del medico, ma per garantire un servizio ottimale bisogna avere percorsi predefiniti da seguire, dal momento che la salute non può basarsi sull’eroismo del singolo. Anche a livello di azienda sanitaria locale, servono strategie mirate in tal senso».

f.p.

«La Granda in Piemonte ha i problemi maggiori»

Bertolusso: servono strategie per assicurare a tutti le cure
Luciano Bertolusso

Per Luciano Bertolusso, segretario per la Granda della Federazione italiana dei medici di famiglia, «è in corso una tragedia, anche nel Cuneese, area che in Piemonte presenta le problematiche maggiori, insieme a Biella e al Verbano Cusio Ossola». Mancano cioè troppi medici di famiglia anche nella nostra provincia. È una situazione drammatica le cui cause vanno ricercate alla base stessa del sistema università-lavoro. Bertolusso: «Negli ultimi anni, è mancata la programmazione: anziché gestire le ammissioni all’università in base al numero delle cattedre, bisognava tenere conto del fabbisogno di nuovi medici».

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