Ultime notizie

Che cosa metto nel piatto: il pollame

L’alimentazione intensiva permette un consumo inferiore di prodotti rispetto a quelli necessari per far crescere gli “animali di campagna”

ALLEVAMENTI Sempre più persone nel mondo, sempre meno risorse per i singoli, sempre più produzione. Perciò le persone scelgono il cibo che costa meno, come la carne prodotta da allevamenti intensivi: non tutti infatti possono crescere animali per cibarsene. Spiega la sua versione Oreste Massimino, vicepresidente di Confagricoltura Cuneo: «L’indice di conversione degli allevamenti si attesta su 1,6-1,75: significa che per produrre un chilo di carne servono 1,6-1,75 chilogrammi di alimenti. Nel costo per la produzione l’alimentazione dell’animale incide per il 70%. Se consideriamo che nel mondo si mangiano circa 13 chili di carne avicola pro capite ogni anno e che si arriverà a 15 entro il 2030, è giusto considerare quanti cereali, quanto suolo e soprattutto quanta acqua in meno siano necessari per sostenere queste produzioni. I cosiddetti “animali di campagna” necessitano infatti da tre a cinque chilogrammi di alimento per produrre un chilo di carne».

16 milioni di polli macellati l’anno: la struttura di Roreto di Cherasco 1

Ma la logica di anteposizione della produttività e convenienza agli aspetti ambientali non sembra, a livello globale, aver portato a buoni risultati finora. Basta valutare come sta la Terra. E la produzione intensiva non sembra sottrarsi a questo problema. Greepeace ha da poco lanciato una petizione per abolire questi metodi di produzione, spiegando come «l’Italia sia il secondo Paese in Europa per utilizzo di antibiotici negli allevamenti, con oltre 1.300 tonnellate all’anno. Gli antibiotici sono somministrati agli animali per prevenire le conseguenze di condizioni igieniche e ambientali insostenibili, che li sottopongono a forte stress e molta sofferenza». Aggiunge l’associazione ecologica: «Fertilizzanti, erbicidi, insetticidi e altre sostanze utilizzate per produrre mangimi inquinano suolo e corsi d’acqua», un fatto che a sua volta provoca «problemi di salute, oltre che danni a livello ecologico di tipo sistemico».

Il veterinario Bolla: «Un broiler cresce in soli 45 giorni, ma la carne è sicura»

“Parliamo con Claudio Bolla, che è direttore del servizio veterinario Area A (Sanità animale) dell’Asl Cn2 di Alba-Bra.

Può raccontarci come va il mondo degli allevamenti avicoli intensivi a livello locale, dottor Bolla?

«Il settore è rappresentato in modo molto rilevante nel nostro territorio sia dall’allevamento dei cosiddetti “broiler” (polli da carne) che dalle ovaiole per uova da consumo, ma anche dai riproduttori, cioè quel pollame che fornisce le generazioni di galline produttrici di uova da consumo o da schiusa. Esistono poi, in misura minore, allevamenti di anatre e faraone; siamo la sede di un impianto di macellazione d’importanza nazionale (l’Ora agricola di Roreto di Cherasco). Si tratta di un settore zootecnico assolutamente di punta e d’avanguardia, nel quale i concetti di tecnologia, genetica, integrazione e biosicurezza sono ormai applicazioni concrete e imprescindibili. Ovviamente qualcosa di molto diverso dalla tradizione familiare dell’allevamento contadino del pollame domestico».

Molte persone però sono preoccupate da questi allevamenti oltre che dal trattamento degli animali destinati al consumo. Qual è il ciclo di vita di un pollo da allevamento intensivo?

«Nei polli da ingrasso un ciclo dura circa 45 giorni (da quando sono pulcini a circa 3,5 kg). Questi animali vivono cioè una crescita accelerata. Oltrepassare anche solo di dieci giorni il limite di questo ciclo può comportare problemi. Il pollo cresce fino a quando converte il mangime ingerito. A un certo punto la massa muscolare non aumenta più, ma può incrementare solo il grasso: per questo motivo bisogna interrompere il ciclo».

Si tratta di una “biografia” ben diversa rispetto al pollo da cortile, per il quale il ciclo risulta più lungo.

«Per il pollo da cortile il ciclo può durare anche tre o quattro mesi, poi viene macellato. Il pollo da cortile si muove di più, presenta una muscolatura di colore più scuro. Va detto però che nei capannoni industriali vengono oggi garantite le condizioni migliori per la crescita. Non esiste competizione per ottenere il cibo, il clima e la genetica risultano ottimali. Il pollo continua a mangiare ottimamente fino ai 45 giorni di età, poi viene inviato al macello. In questo contesto
di crescita bisogna evitare di spingersi al limite tecnologico, ma rimanere nel limite biologico e comportamentale della specie – con spazi vitali e tempi di riposo produttivi ben normati e definiti per legge. Le decisioni e i regolamenti dell’Unione europea che noi facciamo osservare con scrupolo vanno in questa direzione».

Eppure, nell’aspetto i polli da allevamento intensivo risultano molto diversi da quelli da cortile. Molte inchieste si sono infatti soffermate sull’utilizzo di antibiotici. Ci sono problemi a suo avviso?

«La prevenzione del contagio da virus e batteri avviene costruendo e aggiornando gli allevamenti con strutture sempre più protette e programmi gestionali e di monitoraggio sempre più accurati: non è il caso di andare troppo sul tecnico, ma il concetto generale è che quando la prevenzione primaria o secondaria funzionano al meglio, la necessità di trattamenti farmacologici si riduce drasticamente e la salubrità degli alimenti è crescente. Insomma: bisogna ottimizzare la profilassi, grazie anche all’uso dei vaccini. Gli antibiotici si usano al bisogno, non è proibito somministrarli, ma l’impostazione odierna degli allevamenti avicoli prevede in misura sempre inferiore il loro utilizzo».

Significa che l’allevamento intensivo, secondo lei, è una sorta di isola felice?

«Magari… È un’attività complessa, dalle mille sfaccettature e problemi. Ci siamo qualche volta confrontati anche con gli aspetti di compatibilità ambientale, dai cattivi odori al rinvenimento di smaltimenti illeciti o non conformi di residui. Ma credo che le problematicità siano soprattutto segno di un lavoro e di un sistema che tendono a migliorare».

E dall’Asl Cn2 Alba-Bra spiegano che sta prendendo piede l’antibiotic free

«La situazione in campo igienico-sanitario degli allevamenti negli ultimi anni è molto migliorata», ci spiega Mauro Noe, direttore del Servizio veterinario dell’Asl Cn2 (Area B, igiene alimenti di origine animale). E prosegue: «Le uniche problematiche legate al benessere sono connesse ad aspetti di management dell’allevamento: ad esempio, il cambio della lettiera secondo modalità irregolari, che può talvolta provocare lesioni (croste) negli animali». Ma assicura il medico: «Sta prendendo piede l’antibiotic free, ovvero il non utilizzo di antibiotici. Nella nostra Asl, in ogni caso, sul totale delle ispezioni, troviamo l’1-2% di irregolarità. Quattro o 5 anni fa raggiungevamo una percentuale del 5».

Sara Elide

Banner Gazzetta d'Alba