Don Tablino seppe ascoltare l’Africa prima di annunciare

Don Tablino seppe ascoltare l’Africa prima di annunciare

ALBA Don Paolo Tablino, albese, missionario fidei donum della diocesi, negli ultimi anni padre della Consolata, da dieci anni è tornato al Padre. Sabato 4, è stato ricordato con un convegno in duomo ad Alba. Nella sua vita ha aperto strade di dialogo, con un’umanità schietta. Ebbe amici credenti e non. Gli anni in Azione cattolica, Ctg, scout e Csi hanno lasciato ricordi indelebili. Le migliaia di lettere scritte in seguito sono un segno della sua umanità, provata dal deserto e da una sintesi felice tra pensiero e azione: una risposta efficace a chi innalza barriere.

Ma nel suo umano non trascurava l’aspetto economico: con uno stile di rigorosa povertà personale e con suggerimenti per la Chiesa, come scriveva in una lettera all’amico monsignor Rossano: «Sono totalmente d’accordo con te che si deve cambiare in stile circa l’uso dei beni economici, sia nella Sede centrale che nelle Curie diocesane. Pensa che le diocesi, almeno in Africa, vanno disperatamente cercando mezzi, dummodo veniant, dalle varie organizzazioni dello sviluppo senza badare né alla pessima impressione data dai vescovi ai laici pensosi, né al legame che così si stabilisce con ideologie tutt’altro che cristiane».

Il vescovo di Marsabit, Peter Kihara, così lo ricordava: «Tablino è un dono. Era la pietra angolare della nostra Chiesa a Marsabit. Ha scritto il Vangelo nella perfezione della sua vita. Aveva nel suo volto il sorriso della fede e dell’amore, che ha toccato tutti, me e voi. Aveva la luce di Dio: portate voi ora questa luce». Tablino ha acceso una luce intensa e non invadente sulle culture tribali, sui costumi locali, con opere come I Gabra del Kenya (Emi 1980).

A don Rossano scriveva il 23 novembre 1973: «La nostra esperienza tra i nomadi (sono esattamente tre mesi il 4 gennaio) è arrivata a una conclusione cortissima: che i pastori Gabra – pur nel loro ambiente aridissimo e nella durezza della vita – sentono come ogni uomo i problemi fondamentali della vita. Quanto avrei desiderato che tu fossi stato con noi in questi mesi quando don Venturino – con quel suo fare quasi socratico – estraeva dalla mente e dal cuore di questi uomini le conclusioni sugli eterni problemi dell’uomo (dove andiamo? etc…). Era quello che tu hai sempre insegnato: l’homo religiosus visto in concreto tra le tribù più sperdute dell’Africa».

Dalla lettera di Pentecoste ’85 a don Rossano: «Come vedi stiamo facendo il passo decisivo e delicato di lasciare in avvenire la cura pastorale ai locali. Dobbiamo puntare unicamente su una intensa formazione spirituale lasciando che lo Spirito guidi i nostri futuri sacerdoti a fare le scelte che crederanno di fare, oppure dobbiamo fare una riflessione sulle realtà umane, tenendo conto sia della cultura nomade che degli orientamenti nuovi di sviluppo».

«Con calma e serenità», scrive in un’altra lettera, o con dibattiti infuocati fin nel cuore della notte – testimoniava don Molino – su come inserire il Vangelo nella cultura di quella gente senza stravolgere né il Vangelo stesso né i riti delle culture locali.

Don Tablino seppe ascoltare l’Africa prima di annunciare
Don Paolo Tablino è stato in Kenya e ha scritto sugli usi e costumi dei Gabra, tra i quali ha svolto il suo ministero insieme a don Venturino.

Il compagno di missione, don Venturino, diceva: «Ripulire la faccia della Chiesa stessa, onde emerga e sia di più facile percezione la sua nota qualificante di sacramento di salvezza e di popolo di Dio, ridimensionandosi nei servizi sociali sul principio della sussidiarietà. Occorre dare e presentare all’africano un modello di Chiesa africana: la vita, la cultura, le feste, i riti sono il luogo dove l’inculturazione mette radici e germoglia, cresce e si sviluppa per dare i suoi frutti ecclesiali dopo».

«Si richiedono traduzioni di Bibbia e preghiere comprensibili, rispetto di usi e costumi tradizionali, il superamento della colonizzazione traendo dall’esperienza concreta dell’africano capacità di accoglienza del linguaggio umano di Gesù». L’ esperienza di don Venturino, abitando in una tenda nei pressi di una manyatta con frequenti visite di don Tablino, hanno permesso un valido lavoro di evangelizzazione. I silenzi, i primi dialoghi, la preghiera appartata, il privilegiare la testimonianza a qualsiasi altro gesto religioso: «La credibilità della persona rafforza e rende credibile qualsiasi buona notizia». Tra i sogni sulla Chiesa, di Tablino e Venturino, c’è una Chiesa che parla solo dopo aver ascoltato.

Anche la vita spirituale di don Tablino è un capitolo da riscoprire, un itinerario di conversione a partire dal Vangelo, dal suo carattere e da tre grandi figure di riferimento: Paolo di Tarso, Charles de Foucault e Madre Teresa.

don Gino Chiesa

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