Il teatro Busca si presenta con Falaguasta

ALBA Il teatro Sociale presenta la nuova stagione teatrale con Marco Falaguasta, uno dei punti di forza del cartellone. Attore, commediografo e regista, Falaguasta vive a Roma. Lavora anche per la televisione dal 2000, quando interpretò Gesù in Morte et ressurectio, trasmesso in mondovisione durante il concerto finale del Giubileo. Dal 2003 lavora in varie fiction, tra cui Incantesimo 7 e Orgoglio.

Sul numero di Gazzetta d’Alba in edicola da martedì 17 settembre ci sarà uno speciale con tutti gli appuntamenti della stagione teatrale

I teatri sono luoghi delicati, dove si gioca il rapporto tra le persone e l’arte in una delle sue forme più corporee. La presentazione della stagione è un momento importante.

Il teatro Busca si presenta con Falaguasta
L’attore romano Marco Falaguasta

«Da attore dico che le serate di presentazione delle stagioni teatrali sono sì importanti, ma sovente di una noia mortale. Gli interventi dei relatori suonano all’incirca così: “Seguite la nostra stagione, i nostri spettacoli sono bellissimi”, “abbiamo tentato di coniugare la voglia di ridere e la riflessività”, “se volete sottoscrivere l’abbonamento…”. Oppure: “Ogni giorno perdiamo spettatori”, e a me viene da pensare: certo che li perdiamo, perché il pubblico medio ha 87 o 88 anni, quindi li perdiamo proprio fisicamente! Insomma, alle serate di presentazione si utilizzano concetti da funerale in un giorno di festa. Scherzi a parte, abbiamo cercato di rendere il 14 settembre, giorno della presentazione della stagione di Alba un giorno di festa, in cui spiegare perché vale la pena venire a teatro, e tentando di incuriosire i giovani».

Lei sarà anche ad Alba come attore.

«L’8 marzo andrò in scena con Neanche il tempo di piacersi. In occasione della Festa della donna parlerò di come nel giro di pochi anni la tecnologia abbia resto tutto più veloce e anche il rapporto con noi stessi, il nostro “piacerci”, sia cambiato molto».

A proposito di novità, cambiamenti e futuro: si definisce ottimista?

«Assolutamente. Dobbiamo riporre fiducia nei giovani. Hanno familiarità con gli strumenti tecnici e con la tecnologia, hanno l’opportunità di cambiare quello che noi (sono nato nel 1970) non abbiamo saputo fare, configurandoci come la generazione più anonima del dopoguerra. Un bambino di dieci anni oggi sa già come “farsi vedere” e come presentarsi al mondo. Con buonsenso siamo noi a dover andare verso di loro, accompagnandoli».

Quindi le nuove forme teatrali, come gli youtuber o chi carica video on-line e in pochi giorni ha milioni di seguaci, non la spaventano?

«No. Se sono arrivati ad avere milioni di spettatori significa che sono stati bravi. L’unica differenza rispetto al passato è che manca il percorso: prima della tecnologia per arrivare a simili risultati dovevi affrontare una lunga e tortuosa strada».

Le piace di più fare teatro o andare in televisione?

«Mi piace raccontare storie. Lo strumento con cui lo faccio non cambia la sostanza del progetto».

In un mondo che sovente non è meritocratico come si fa ancora a sognare?

«Credo che l’elemento principale riguardi la domanda: perché sogno? Se un giornalista vuole diventare come Indro Montanelli, la discriminante sarà la ragione alla base del suo intento. Vuole diventare famoso come Montanelli o acquisire la sua capacità di pensiero e riflessione? Sono due strade completamente diverse, ma che si presentano simili nella forma. La prima è motivata da un desiderio superficiale, basato sull’immagine che gli altri hanno di noi. La seconda è fondata su aspetti più profondi, sostanziali. Non dobbiamo mai dimenticare questa differenza».

Matteo Viberti

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