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Ade, il giovane che lavora in un autolavaggio

Ade, il giovane che lavora in un autolavaggio

LA STORIA Ade viene dal Mali. Quando chiediamo, pronti al francese: «Quale lingua preferisci parlare?», lui risponde: «In italiano, siamo in Italia».

Il clima politico e mediatico negli ultimi anni è stato difficile. L’atmosfera ha fatto sentire persone come Ade intruse, invece che benvenute in una terra che dispone di sufficiente spazio e rendita per l’ospitalità e sufficiente amore per l’integrazione, ma che per una serie di ragioni propagandistiche si è rappresa in atteggiamenti aggressivi e intolleranti.

Ade è nato il 1° gennaio 1998: il primo giorno dell’anno lo fa sentire fortunato, destinatario di un oroscopo speciale. Forse il suo destino è davvero quello di fare grandi cose. Ma la sua pelle per ora è forgiata da esperienze che non si possono dire né immaginare. È una pelle forte, che ha accumulato traversate di nazioni e di oceani nel tentativo di salvarsi da una situazione economica e sociale insostenibile. Ha occhi stanchi e influenzati.

Spiega Ade: «Dopo la decisione di partire sono stato in Algeria, poi in Libia. In Libia è molto pericoloso, puoi venire anche ammazzato». Oltre non si spinge. Rimane sul generico. Non si può dire il non dicibile. Sovente è un trauma quello vissuto dai profughi in Libia, nei centri di detenzione simili ai lager di cui lo Stato italiano si rende complice a causa degli accordi col Governo locale. I reduci, gli scampati ai moderni genocidi abitano anche qui, sotto le torri albesi.

Ade ha pagato 500 dollari per salpare dalla Libia e in barcone raggiungere Reggio Calabria. È rimasto un anno lì, poi a Crotone. Infine in Piemonte. «Oggi lavoro in un autolavaggio nella zona albese. È un lavoro duro, ma mi piace. Ho anche qualche amico in città. Non voglio tornare in Mali. Anche se mi manca la mia famiglia, laggiù c’è la guerra». E conclude: «Qui ad Alba sono tutti gentili con me. Alcune persone sono ostili, come succede ovunque. Ma la maggioranza è molto cordiale. Penso di poter vivere bene qua».

La lingua è un ostacolo: non può raccontare oltre. Immaginiamo i momenti trascorsi, quelli mancati, quelli futuri: la luce del sole che entra dalle tapparelle quando la mamma lo svegliava al mattino, l’amico con cui giocava a pallone e tutto sembrava pieno di promesse, la prima ragazza.

Quelli che per noi sono privilegi, momenti di vita da vivere e raccontare, per lui sfumano in una narrazione più sommaria, fatta di mete e destinazioni, di biglietti acquistati e pericoli scampati. Il linguaggio per raccontare la quotidianità nei suoi particolari è un lusso di chi nasce protetto, ricco ed è la prima cosa che viene sottratta a persone come Ade.

m.v.

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