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Milva e Renato Fenocchio, gente abituata alla speranza, piantano un vigneto

Milva e Renato Fenocchio, gente abituata alla speranza, piantano un vigneto

LA STORIA  “Era il 1993 quando Renato e Milva, di Neive, decisero di intraprendere un progetto che molti giudicarono insostenibile. I due volevano creare un’azienda di produzione vitivinicola interamente biologica, senza dover utilizzare veleni né contaminazioni nei loro campi. A quel tempo nessuno si voleva cimentare in simili, epiche imprese. Nessuno si accorgeva del mutamento climatico in corso. Loro, però, proseguirono senza investitori né aiuti a supportarli. Persero parecchi raccolti; infine riuscirono a realizzare il sogno. Oggi l’emergenza coronavirus li mette in difficoltà, ma sono persone che hanno imparato negli anni il linguaggio della speranza. Così, per contrastare il clima di paura e delusione, stanno piantando una nuova vigna. L’allerta ecologica, il rapporto dell’uomo con la natura e gli animali che la abitano paiono giocare un ruolo importante nella grave pandemia. Eccole parole di Renato e Milva Fenocchio.

La vostra storia può insegnare qualcosa oggi. Come nasce il vostro inedito progetto di vita?

Milva: «Io e mio marito lavoriamo insieme da molti anni. Iniziammo l’azienda da giovani, quando avevamo poco più di vent’anni. Era il 1993. Volevamo creare prodotti senza pesticidi. Inoltre, vedevamo molte persone morire di tumore o anche nascere con problemi. A quel tempo non c’erano limiti all’impiego di prodotti chimici in vigna. Realizzammo una nostra ricerca, appoggiandoci a un chimico di fiducia. Decidemmo che non avremmo mai messo a rischio le nostre vite e quelle dei nostri figli».

Allora non si parlava di cambiamento climatico né di agricoltura biologica.

Renato: «Dissero che eravamo pazzi. Però, il problema del clima e dei danni provocati dalla monocoltura intensiva della vigna c’era già in quei tempi, quando la sensibilizzazione era minore. Oggi possiamo dire di avercela fatta».

Ma non è facile.

Milva: «Proprio in queste notti andiamo nelle vigne con le torce a cercare i bruchi che si nutrono delle gemme del Nebbiolo. Stiamo svegli fino alle 4. È l’unica alternativa alla chimica. Questo modo di lavorare implica molti rischi, ma mette il cuore al centro, al posto del business. Abbiamo tanti amici e clienti che ci scrivono in queste ore di difficoltà. Penso che il nostro rapporto con la natura e il tentativo di rispettarla abbiano aiutato a creare legami autentici».

Perché la nuova vigna si lega alla situazione di oggi e vuole simboleggiare una speranza collettiva?

Renato: «C’era un terreno vicino all’azienda. Da molti anni volevamo acquistarlo, ma non era possibile. Proprio in questo periodo ne siamo diventati i proprietari e dato che le vendite sono ferme, così come il resto del lavoro, abbiamo deciso di lanciare un messaggio di speranza, piantando un vigneto. Un gesto che simbolicamente significa rinnovamento».

Come state vivendo questo periodo?

Milva: «Le vendite sono ferme, anche l’export, e non ci sono turisti. I ristoranti sono chiusi. Approfittiamo per stare insieme e prenderci cura della natura. Cerchiamo di vivere con positività. Siamo ottimisti, se non lo fossimo stati sarebbe stato impossibile arrivare fin qui. Noi siamo gente abituata alla speranza».

Sara Elide

SOCIETÀ IN AFFANNO: AMBIENTE E CLIMA

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