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San Benedetto Belbo in fiamme, storia di un rastellamento

Caldarroste e letture fenogliane domenica 22 a San Benedetto Belbo

20 NOVEMBRE 1944 «Sulla strada nel corso di una operazione riusciamo a fermare la macchina dell’ufficiale che conduce il rastrellamento. C’è nel nostro gruppo un partigiano tedesco in uniforme. Blocca l’automobile  e ci dà modo di accerchiarla. Gli ufficiali che accompagnano il generale tentano di reagire e ci costringono a far fuoco. La vettura è crivellata di colpi, nell’abitacolo i corpi esamini del generale, di un colonnello, di un maggiore, di un tenente. Peccato perché ci sarebbero stati più utili da vivi»: così scriverà Italo Nicoletto, allora  ispettore per Langhe e Monferrato delle brigate Garibaldi con il nome di battaglia Andreis, nelle memorie pubblicate nel 1981. Gli autori dell’imboscata tesa a colpire i tedeschi sono gli uomini di Alvarez, della 16 brigata. Gli uomini con la stella rossa cercano di contrastare la 34ª divisione fanteria tedesca impegnata, dalla metà di novembre 1944, nel rastrellamento delle Langhe. L’obiettivo, come ricorderà Mario Giovana, è arrivare, in movimento da Cravanzana e  Santo Stefano Belbo verso Castino e Cortemilia, al campo d’aviazione di Vesime. Secondo Carlo Gentile l’attacco all’auto della  Wehrmacht avviene il 18, presso Bonvicino e i morti menzionati dai documenti tedeschi sono due: il tenente colonnello  Ernst Buchholz, comandante dell’80° granatieri, e il tenente  Paul Brühl, l’ufficiale addetto alle informazioni e alla lotta contro i partigiani della divisione.

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Militari e delegati civili della 6ª divisione Langhe (da Guerriglia
e mondo contadino di Mario Giovana): il secondo in piedi da destra è Italo Nicoletto, Andreis.

 

Coraggio e poche munizioni

I combattimenti proseguono e il coraggio ­- oltre alle poche munizioni – non basta ai partigiani quando, il 20 novembre, i tedeschi puntano verso San Benedetto. A Bosia un lanciagranate ricevuto dagli Alleati è difettoso e provoca la morte di due partigiani oltre al ferimento del commissario e del comandante della 16, Marco, Eugenio Mogni, antifascista di antica data (è del 1901); è con ogni probabilità lo stesso patriota che sarà destinato a cadere alla Fiat grandi motori di Torino nei giorni dell’insurrezione.

Il racconto di Terenzio Rosso

«Furenti» ­- parola di Giovana – per la resistenza e per le perdite subite i granatieri tedeschi di accaniscono du San Benedetto Belbo. In paese abita ancora Terenzio Rosso, all’epoca un ragazzino: «Al mattino vedemmo una colonna tedesca che scendeva

La storia: San Benedetto Belbo è in fiamme 2
Terenzio Rosso

da passo della Bossola. I partigiani, accampati in regione Cadilù cominciarono a sparare, ma i tedeschi con armi più potenti li fecero ripiegare verso la Val Bormida». Per i pochi giovanissimi e anziani è il momento di affrontare l’arbitrio degli occupanti: questi, avanzando verso l’abitato «bruciavano le case e prendevano gli uomini in ostaggio (tra i quali anch’io di ben 14 anni). Poi ci portarono a Murazzano. Eravamo in 56, tra noi il parroco, don Luigi Chiavarino. Eravamo destinati a rimanerci per tre giorni».

Il documentario Rai del 27 aprile 1973

Quello che volevano i tedeschi era il colonnello Buchholz; se il suo corpo non fosse stato restituito «ci avrebbero uccisi», racconta Terenzio con semplicità. Fu in quel frangente, con oltre cinquanta case in cenere e i suoi paesani in pericolo, che il peso di tentare di evitare (ulteriore) sangue – neppure il famigerato dieci italiani per ogni tedesco di Kesserling – fu assunto dal sindaco, Emilio Canonica. In un servizio della Rai andato in onda il 27 aprile 1973 – che il Comune di San Benedetto ha in programma di recuperare dalle teche della televisione pubblica – lo si vede narrare con grande calma come aveva recuperato il corpo e la divisa. E come, aggiungiamo, nel suo paese non era successo come a Cravanzana, dove sette badogliani furono fucilati e deturpati «orrendamente», come si trova scritto in un rapporto di Nicoletto.

San Benedetto Belbo in fiamme, storia di un rastellamento
Terenzio Rosso da piccolo a San Benedetto

Ancora il 21 e 22 novembre i tedeschi tornarono in quello sarà destinato a diventare il luogo fenogliano per eccellenza: «Vennero a far rappresaglia e portarono via animali, buoi, vacche, vitelli, maiali sparsi per la campagna perché erano stati bruciati stalle e fienili»; tra le poche abitazioni a salvarsi ci fu la celebre censa, ora al centro di un progetto di recupero. Nel documentario citato compaiono, oltre al sindaco Canonica, Ugo Cerrato, che nella 16 brigata militò con il nome di Ughetto, il fratello Sergio. Se gli occhi non ingannano – nel filmato non compaiono didascalie a presentare gli intervistati – compare anche Nuto Revelli.  E lo studioso Eugenio Corsini, anch’egli molto legato a San Benedetto, che mette in sintesi così l’atteggiamento del mondo contadino verso quei giorni di guerra: ci fu lo sviluppo della «consapevolezza della volontà (nazifascista) di oppressione dell’uomo sull’uomo e a questa si ribellarono».

Paolo Rastelli     

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