Penelopi senza la tela descritte da Gina Lagorio

AUTRICE Nei giorni in cui da sponde opposte si rivendica una presenza più incisiva della donna nei posti manageriali, nelle task force, nelle istituzioni, esaltata come l’organizzatrice sapiente, la manager affidabile, mi sono venuti tra le mani due testi agli antipodi. Uno è la Satira delle donne di Semonide di Amorgo. L’altro un saggio di Gina Lagorio – braidese di nascita e cittadina onoraria di Bra giusto vent’anni fa, nel maggio 2000 –: Penelope senza tela, edito nel 1984. Contiene una serie di elzeviri apparsi su quotidiani, corrispondenze di viaggio, conversazioni radiofoniche, divagazioni su argomenti di attualità e saggi critici: al centro i problemi della donna e il suo ruolo nella società.

Penelopi senza la tela descritte da Gina Lagorio
Gina Lagorio col marito, l’editore Livio Garzanti, nel maggio 2000 a Bra. Qui la scrittrice era nata nel 1922.

Di Semonide, di età non precisata – secondo alcuni coetaneo di Archiloco, VII secolo a.C. –, è rimasto un ampio frammento in versi giambici, tradotto da Leopardi nel 1823, infarcito di livore antifemminile. Sulla scia di Esiodo che le definisce «un grave malanno per il mortale» e più tardi di Euripide – il quale per bocca di Ippolito stigmatizza: «Non mi stancherò mai di esecrare le donne che sono sempre scellerate» – Semonide, parlando di dieci origini diverse della donna, ritiene che le peggiori siano quelle che hanno indole animale. Paragonata a una scrofa per la sporcizia, alla volpe per l’astuzia, alla cagna per l’aggressività, alla cavalla per la vanità, alla scimmia per la malignità, all’asina per la testardaggine, può ben declamare: «Il più gran male che Dio fece è questo: le donne». Un guaio per chi le possiede, alla stregua di un oggetto, tollerato con fastidio. Ma nella parte finale il coup de théâtre: la donna che è degna di attenzione è quella ape, nobile e priva di difetti, la più saggia, moglie fedele e donna fattrice.

Come controcanto, Gina Lagorio parte sì dalla figura omerica e dallo stratagemma della tela tessuta e disfatta, «metafora del lavoro domestico» che incarna il ritmo ripetitivo e monotono delle azioni femminili, con il loro strascico di stanchezza e vuoto, ma ribalta questo archetipo e nasce la sua Penelope «senza tela», la donna che ha conquistato la consapevolezza di rivendicare i diritti, che abbisogna di coraggio, pazienza e abnegazione.

Non è l’ape nobile di Semonide, che cela una subordinazione al mondo maschile e una remissività incondizionata, ma la donna che ha preso coscienza: «Ed essere donna vuol dire anche questo: saperlo essere responsabilmente nel vivere sociale. Con una volontà non costretta cioè da una condizione subita come frustrante. È la donna che prende coscienza dei suoi spazi anche se ancora angusti nella società e nelle leve di comando. Il segreto del suo successo sta in una parola, anzi in un comportamento: solidarietà tra donne». È convinta, Gina Lagorio, che l’autonomia femminile passi anche per questa strada: «Le donne che sono solidali, che si riconoscono, che riscoprono una lingua comune».

Si sta realizzando faticosamente questo percorso, a livello interplanetario. Certo richiede una buona dose di coraggio e determinazione, perché l’obiettivo, ambizioso, è di contare di più in ogni campo, senza cadere nell’integralismo, soprattutto rileggendo il passato, come chiarisce la scrittrice in un’intervista sull’appartenenza o meno al movimento femminista: «Risposi che non amavo gli slogan, ma pensavo che le donne fossero al centro del futuro, non contro gli uomini, ma al loro fianco, in responsabile partecipazione di diritti e di doveri. Ricordai che erano state in passato i pilastri della società contadina… Pensavo alle donne di Langa che avevano saputo chiudere la porta in faccia ai tedeschi quando c’era da salvare un partigiano nascosto». Lungimiranti le sue parole: la sua è la donna che non si arrende, che se appare a volte passiva lo è per saggezza e non per debolezza, che conquista faticosamente gli spazi come segno di libertà. Il contrario della donna-ape di Semonide.

Cetta Berardo

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