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La strada in salita dell’Italia verso il Piano per la ripresa

Italia, sorvegliata speciale nell’Unione europea?

BRUXELLES Sono passati quasi due mesi dalla decisione del Consiglio europeo dei capi di Stato e di governo, il 21 luglio scorso, sul Recovery fund, il Piano per la ripresa dell’Unione Europea, con una dotazione di 750 miliardi di euro, aggiuntivi rispetto ad altri progetti già finanziati – o finanziabili, come quello del Meccanismo europeo di stabilità (Mes) – e al bilancio comunitario 2021-2027 per il quale è prevista l’approvazione congiunta tra Parlamento europeo e Consiglio dei ministri Ue nel corso dell’autunno.

Si tratta di un’imponente massa di risorse finanziarie, ripartite tra prestiti e sussidi, dalla quale dovrebbero riversarsi in Italia circa 209 miliardi di euro, da attivare nel corso del primo semestre del 2021 in vista di progetti da avviare a compimento entro il 2023. Come dire, tanti soldi in poco tempo, come richiesto dall’urgenza della situazione caratterizzata da una profonda recessione economica con pesanti ricadute sociali. Sulla difficoltà di spenderli bene si è già espressa la Corte dei conti Ue per l’insieme dei 750 miliardi, almeno altrettanto si può temere per la consistente dotazione destinata all’Italia.

La procedura prevista da Bruxelles indica la scadenza del 15 ottobre per la presentazione di una prima bozza di programma da precisare a gennaio 2021 per consentire alla Commissione europea di formulare le sue osservazioni e successivamente al Consiglio di approvare i progetti.

Il 9 settembre il Consiglio dei ministri ha adottato le linee-guida che intende seguire nella scelta e nelle priorità dei futuri progetti: orientamenti che hanno necessariamente tenuto conto del quadro delle priorità già annunciate dalla Commissione europea e in parte già comunicate nella procedura del semestre europeo che chiedeva all’Italia una particolare attenzione al rafforzamento della crescita, alla finanza pubblica e al sistema sanitario, a lavoro e formazione, a liquidità e investimenti per le imprese e al miglioramento dell’efficienza della sistema giudiziario e della pubblica amministrazione. Al richiamo a queste priorità si accompagnava l’invito a  «anticipare investimenti pubblici maturi, promuovere investimenti privati, concentrare gli investimenti sulla transizione verde e digitale». Non sfugge a nessuno, si spera, l’insistenza di Bruxelles sulla leva degli investimenti perché non si destinino queste risorse né a spesa corrente né a riduzioni fiscali, ma si guardi al futuro con priorità di intervento in favore delle nuove generazioni.

A oggi i filoni prioritari individuati sono quelli dell’innovazione e digitale, dell’istruzione, della rivoluzione verde, della competitività del sistema produttivo, delle infrastrutture per la mobilità, dell’istruzione e formazione , dell’equità, inclusione sociale e territoriale e della salute. Si tratta di contenitori molti ampi nei quali dovranno essere collocate proposte precise entro gennaio 2021, quando il capitolo salute potrebbe auspicabilmente trasferirsi dal Recovery fund verso il Mes, prestito specificamente destinato a interventi nel settore sanitario.

C’erano una volta la Svezia e il Parlamento europeo
Franco Chittolina, sociologo, ha lavorato per 25 anni nelle istituzioni europee

Può essere interessante il raffronto con il quadro di priorità francese, adottato una settimana prima, che ha concentrato le priorità su tre grandi assi: coesione sociale e territoriale, competitività delle imprese e transizione ecologica dotati ciascuno di circa un terzo della dotazione complessiva di 100 miliardi di euro. Già a una prima lettura è evidente la diversità dell’approccio e la forte concentrazione delle risorse, oltre che  l’indicazione della dotazione finanziaria per i tre ambiti prioritari e l’accelerazione temporale impressa dal governo francese

Sul futuro della selezione italiana dei progetti peseranno non poco i 660 progetti tirati fuori dai cassetti dei ministeri, difficili da far convergere verso una strategia globale e alcuni anche da dissotterrare da vecchi cantieri mai attivati o sospesi nel corso della loro realizzazione.

Insistere in Italia a voler resuscitare il vecchio significa correre il rischio di perdere l’occasione di agganciare un futuro che, nel mondo e in Europa, è già cominciato da tempo.

Franco Chittolina

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