I novecento delle cooperative senza terra che lavorano nei nostri vigneti

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L’INCHIESTA In una giornata di metà ottobre, Dejan si riposa all’esterno di una cascina nelle Langhe. La sua bambina corre nel cortile e insegue un gatto che continua ad arrampicarsi sui davanzali. La famiglia vive in affitto: il proprietario dell’immobile è anche il datore di lavoro di Dejan. La vendemmia è finita da poco, ma non esiste un vero periodo di pausa.

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«La mansione è dura, ma la paga mi è sufficiente per vivere. Non possiamo lamentarci, sebbene il mio sogno sia di tornare nella mia terra e costruirmi una vita laggiù. Per quanto l’Italia sia stata ospitale, per quante cose io vi abbia realizzato, la sensazione di essere uno straniero rimane», dice Dejan.

Il sentimento di quest’uomo di 32 anni lo accomuna a centinaia di lavoratori dell’Est Europa, che ogni anno percorrono le vigne di Langhe e Roero per curare il processo di coltivazione delle uve. Dopo la vendemmia, i grappoli confluiscono nelle cantine, per essere processati, imbottigliati e infine venduti, tramutandosi in ottimi profitti, che negli ultimi decenni hanno reso benestanti i viticoltori del posto. Dejan si sente un privilegiato: «Sono stato assunto dalla cantina per cui lavoro, ma la maggioranza dei miei connazionali opera per le cooperative agricole. Anch’io sono passato per queste realtà: lì ho maturato competenza e conoscenza, fino a diventare un lavoratore autonomo».

Oggi, Dejan sembra oscillare tra un sentimento d’appartenenza alla terra in cui vive, un desiderio di ricominciare e una sensazione d’incertezza sul futuro.

È il mondo delle cosiddette cooperative senza terra a fornire lavoro a centinaia di persone come Dejan. Un microcosmo poco raccontato, in cui si gioca una parte importante del vivere sociale odierno. I braccianti presidiano le colline, consentendo la crescita della vite. Il loro è un sudore che pochi italiani sono disposti a versare. Le cooperative garantiscono la copertura della pluralità delle attività in vigna lungo l’intero anno, e organizzano anche la vendemmia. La loro struttura organizzativa è costituita da figure apicali di coordinamento, che guidano i lavoratori nella realizzazione delle attività, dotandoli delle attrezzature necessarie. Ovviamente il fine rimane il profitto, come accade in ogni realtà imprenditoriale. La maggioranza di queste imprese persegue questo obiettivo in modo trasparente e onesto, mentre alcune – le cosiddette cooperative spurie, ovvero che non rispettano le forme mutualistiche, ma utilizzano questa forma aziendale in modo strumentale –ricorrono al cosiddetto “lavoro grigio”: forme di retribuzione fuori busta, orari di lavoro in eccesso rispetto a quanto previsto dal contratto, accordi informali sulla lunghezza del rapporto datore di lavoro-dipendente. Ne abbiamo parlato a lungo nelle scorse settimane.
Ma, nella zona di Langhe e Roero sono dieci le cooperative senza terra che aderiscono a Confcooperative Cuneo e lavorano ogni giorno, contrapponendosi alle dinamiche di sfruttamento: la loro costituzione si è avviata a partire dai primi anni Duemila. Sei di queste imprese hanno una storia più che decennale. I fondatori sono macedoni che, lavorando in un primo tempo come braccianti agricoli, hanno trovato l’opportunità di un vero salto organizzativo. Un processo che ha rappresentato un risvolto d’emancipazione e integrazione per centinaia di migranti provenienti dall’Est Europa sul fronte professionale e sociale.

In base ai dati del 2019, il fatturato complessivo delle cooperative senza terra nella zona di Langhe e Roero è pari a circa 7 milioni e 700mila euro, mentre il costo del lavoro pesa per circa l’84 per cento. Gli addetti sono soci ingaggiati in un impegno stagionale, a seconda delle esigenze delle cantine vitivinicole e del relativo impegno in vigna. Negli ultimi anni sono state coinvolte circa 900 persone, assunte nella maggioranza dei casi seguendo il contratto nazionale delle cooperative e dei consorzi agricoli. Oggi la sfida si chiama Covid-19, ma anche competizione sleale, mentre i nuovi scenari migratori costituiscono ostacoli che potrebbero innescare metamorfosi strutturali (si vedano anche gli altri articoli di questo servizio).

Boban Pesov, dell’Arco del lavoratore: «Caporalato meno facile, ma certi produttori vogliono solo spendere meno»

«Come tante altre cooperative ci occupiamo di offrire diversi servizi di manodopera professionale e macchinari a produttori e viticoltori in Langa. Le cooperative di macedoni e bulgari sono una risorsa fondamentale per il territorio: negli anni queste realtà si sono professionalizzate e hanno elevato il livello qualitativo fino ad arrivare a plasmare alla perfezione lo stile e la manualità tipica della tradizione della Langa».

Sono parole del consigliere provinciale di Confcooperative Cuneo Boban Pesov, socio della cooperativa L’arco del lavoratore, avviata nel 2008 con il padre (Stojan Pesov) e il fratello (Daniel Pesov). Allora l’impresa contava circa venti tra soci e dipendenti, ma lungo i 12 anni di attività è poi cresciuta costantemente. «Mio padre (l’ideatore del nome), dal 1998 fino al 2008, ha lavorato come dipendente in una cantina e in quei dieci anni ha avuto modo d’imparare il mestiere prima di sentirsi sicuro e insegnarlo anche a noi e a tanti altri», prosegue Pesov.

«Nel tempo abbiamo consolidato con molti nostri clienti non solo un rapporto lavorativo di fiducia reciproca, ma anche una vera amicizia. Io mi occupo della logistica e delle pratiche d’ufficio». Oggi anche L’arco del lavoratore si trova a vivere una realtà in profondo mutamento su svariati livelli: nuovi addetti (soprattutto africani) in arrivo, saltuarie pratiche di sfruttamento organizzate da alcune cooperative disoneste, il rischio del caporalato che si insinua nei territori caratterizzati da elevata ricchezza. Pesov, sul possibile esodo dei braccianti dell’Est Europa dalle nostre colline spiega: «C’è stato un aumento del numero di cooperative, al cui interno lavorano anche persone provenienti dall’Africa; però non conosco bene la qualità di queste realtà e del loro operato».

L’opinione riguardo al caporalato è cauta: «Il caporalato è stato un fenomeno abusato soprattutto in passato, ma negli ultimi anni molte di queste realtà sono state soffocate o del tutto eliminate, dato che ci troviamo in una zona importante per il Made in Italy. Un produttore di Langa che ama il proprio prodotto difficilmente si affida all’improvvisazione. Ovvio, che nel cesto ogni tanto viene fuori il frutto marcio, che però ha vita breve: i furbetti esistono tra i miei connazionali e pure tra i produttori che, pur di risparmiare, sono disposti ad affidarsi a persone che non sanno dove mettere le mani quando si trovano in vigna». Sono queste le cooperative spurie, che secondo Pesov esistono, perché «alcuni operatori vitivinicoli vogliono risparmiare al massimo, gente che non ha il diritto di dire di amare la propria terra. Così, le istituzioni dovrebbero impegnarsi a tutelare le realtà positive e abbattere quelle inquinate. Il periodo del Covid-19 ha evidenziato anche questa mancanza».

Il presidente Alessandro Durando: serve una filiera etica per il mondo che punta sul marchio Unesco

“Alessandro Durando è il presidente di Confcooperative Cuneo, che rappresenta e assiste sul solo territorio di Langa e Roero quasi trecento cooperative.

Qual è il vostro impegno rispetto alle cooperative agricole (senza terra), operative sulle colline tutelate dall’Unesco, presidente Durando?

«Il lavoro svolto in questi anni è stato diretto a garantire un supporto nella costituzione delle cooperative stesse, nel dare servizi sulla contabilità e nella definizione dei contratti di appalto con le aziende agricole con cui esse operano. Questo continuo rapporto e confronto con la nostra organizzazione genera uno scambio costruttivo nella chiara direzione dell’allineamento alla normativa e ai contratti di riferimento. La presenza delle cooperative ha rappresentato una risposta concreta per le imprese agricole del territorio, in ordine ai loro più vari fabbisogni produttivi».

I novecento delle cooperative senza terra che lavorano nei nostri vigneti 1Quali sono le aree di debolezza, i punti fragili di questo mondo lavorativo poco conosciuto dalla maggioranza?

«Ci troviamo di fronte a un settore occupazionale che va costantemente presidiato, dov’è ancora necessario superare forme di mera intermediazione di manodopera, per pervenire a un più pieno e diffuso rispetto dei contratti. Registriamo talvolta, purtroppo, la presenza di cooperative spurie, che generano dumping sociale (la pratica in uso a taluni datori di lavoro di utilizzare manodopera più economica di quella normalmente disponibile, ndr), penalizzando chi in questi anni si è mosso con correttezza. Sollecitiamo i diversi soggetti sociali coinvolti in questo mondo a segnalarci le situazioni critiche per intervenire tempestivamente, in modo da arginare tutte le situazioni irregolari direttamente, se coinvolgono le nostre associate, o in modo indiretto, attraverso l’Osservatorio provinciale della cooperazione, di cui siamo parte attiva. È un lavoro di sostegno, per promuovere insieme la cooperazione vera e il lavoro regolare. Non ci interessa dividere il mondo tra buoni e cattivi, ma far compiere un buon salto di qualità al sistema attraverso logiche positive d’interazione. Il nostro territorio ne ha tutta la forza».

Di recente alcuni braccianti africani sono giunti ad Alba sprovvisti di un riparo per la notte. Lavoravano nei vigneti: come si può spiegare questo fenomeno?

«L’emergenza Covid-19, rendendo difficile il rientro di lavoratori abituali dalla Macedonia, ha determinato il coinvolgimento di numerosi africani, sovente privi di riferimenti e di reti a livello locale. Al momento la situazione è decisamente contenuta. Condividiamo l’operazione immediata del sindaco di Alba, che ha chiesto l’intervento delle autorità preposte allo sgombero degli accampamenti abusivi, ma nel contempo ha trovato, grazie alla Caritas, una prima, dignitosa soluzione. Riteniamo giusto verificare la catena lavorativa che coinvolge queste persone, così come avviare un confronto con le aziende e i Comuni del territorio per prepararsi a una gestione condivisa dell’accoglienza. I problemi vanno anticipati per essere in grado di dare una risposta dignitosa».

Come fare, però, per risolvere queste problematiche nel modo migliore?

«Ribadiamo l’importanza, al di là dei controlli degli organi competenti che
non devono mai abbassare la guardia, di costruire insieme una filiera inclusiva ed etica. Un primo passaggio potrebbe essere riconoscersi in contratti d’appalto condivisi tra aziende e cooperative: dev’essere garantito uno scambio trasparente tra il servizio offerto e gli accordi economici. Confermiamo l’interesse e la disponibilità a costruire un percorso in questo senso, partendo con chi è disponibile a fare con noi un “salto evolutivo” per qualificare ulteriormente il mondo dell’agricoltura e quello del vino in modo particolare».

Roberto Aria

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