Alla ricerca delle armi della Seconda guerra mondiale

STORIA «Dopo i radiogrammi del 21 e 22 (gennaio, nda) e il reperimento di materiale bellico nello stabilimento Om di Milano sono proseguite le ricerche nel reparto altiforni»: il prefetto di Milano Tommaso Pavone scriveva così a Roma il 26 gennaio 1951. La comunicazione, indirizzata al Ministero dell’interno, gabinetto di pubblica sicurezza, è ricevuta dal sottosegretario Teodoro Bubbio. Il prefetto meneghino annotava, di seguito e con grande precisione, l’entità del rinvenimento: oltre seimila cartucce di ogni tipo e calibro e molte armi, «tutte in perfetto stato di conservazione et evidentemente sottoposte at recente manutenzione erano quasi tutte avvolte in fogli del giornale Unità di cui uno del 18 ottobre 1950. Finora presso locale Questura trovansi in stato di fermo perché responsabili aut sospetti correità occultamento materiale bellico dieci attivisti comunisti».

Il burocratese usato non sminuisce il potenziale evocativo di questa immagine dell’Italia nei primi anni Cinquanta. Il mondo era scivolato nella Guerra fredda, gli ex alleati Stati Uniti e Unione Sovietica si battevano in una guerra per procura in Corea e Washington assisteva alla caccia alle streghe del senatore repubblicano Joseph McCarthy; nel bel Paese il «pericolo rosso», abilmente manovrato, rappresentava uno strumento nelle mani del ministro dell’interno Mario Scelba.

Alla ricerca delle armi della Seconda guerra mondiale
Un mitra Sten viene controllato da un’operaia canadese nel 1942.

Per procurare alla Dc il favore delle borghesie un tempo fasciste e congelare i conflitti sociali in un Paese devastato, il politico siciliano fece ricorso, fra l’altro, alla strumentalizzazione delle paure di una rivoluzione imminente. Fu in questa stagione che per Teodoro Bubbio si aprirono le porte del Viminale: il 27 gennaio 1950 entrò a far parte del nuovo Governo costituito da De Gasperi dopo il rimpasto seguito alla strage di Modena (sei operai uccisi il 9 gennaio nel corso di una dimostrazione) e vi sarebbe rimasto fino al 17 luglio 1953.

Tre anni difficili, costellati di conflitti sociali e anche da episodi sanguinosi: a Lentella, in Abruzzo le Forze dell’ordine sparano e uccidono, il 21 marzo, due contadini; in aprile il triangolo industriale è paralizzato dallo sciopero generale. Ed è in corso la caccia a Salvatore Giuliano, che si conclude il 3 luglio con l’uccisione del bandito per mano del suo luogotenente.

La giovane Repubblica è retta per aspetti essenziali attraverso leggi fasciste, dal codice penale al Testo unico di pubblica sicurezza del 1931; d’altro canto la legge del 1952 che porta il nome di Scelba introduce il reato di apologia del Fascismo, pur formulato in maniera da non escludere il Movimento sociale dalla vita politica.

È in questo clima che si inserisce la ricerca delle armi nascoste dai partigiani – non solo comunisti – all’indomani della Liberazione. All’inizio degli anni ’50 la loro esistenza non è certo una novità. La consegna del materiale bellico delle formazioni, imposto anche dagli Alleati, era stata solo parziale, come molti sapevano; nel luglio 1948 la mobilitazione dopo l’attentato a Palmiro Togliatti aveva fatto balenare il pericolo di una guerra civile.

La portata della campagna di recupero, avviata alla fine del gennaio 1951, stupisce per le dimensioni. Il 14 febbraio nei cantieri navali della Ansaldo, a Sampierdarena, vengono alla luce 140 quintali di armi, «di cui: quattro mitragliere contraeree da 20 millimetri (…) 9.737 cartocci granata da 20 millimetri contraeree e controcarro; 13.111 cartucce a pallottola per mitragliera». Il 16 febbraio a Sestri Ponente in alcuni silos si trova un mortaio da 81 millimetri; il 5 marzo alla Ansaldo San Giorgio tre panzerfaust (lanciagranate anticarro) da 60 millimetri; sei cassette contenenti 24 bombe da mortaio da 81».
Il 18 febbraio è la volta del capoluogo sabaudo dal quale il prefetto Giovanni Carcaterra scrive: «Proseguendo segnalate perquisizioni per recupero armi occultate presso stabilimenti industriali, Carabinieri Torino han oggi sequestrato presso stabilimento Fiat ferriere 17 Sten con 40 caricatori et 232 cartucce, undici Thompson, un fucile modello ’91 e un mitragliatore tedesco (…). Tutto in ottimo stato conservazione et abilmente occultato in cassone di montacarico».

Il 22 febbraio operazioni simultanee coinvolsero di nuovo Torino e Milano: da qui il prefetto Tommaso Pavone invia un rapporto dettagliato delle armi trovate nello stabilimento militare dismesso della Caproni a Taliedo: «Una mitragliatrice Breda calibro otto per aereo (…) 58 bombe anticarro Breda modello 42 (…) 10 bombe per mortaio (…) 34 bombe a mano tipo Oto, 37 bombe a mano Breda (…) 1.500 cartucce calibro 12,7 per mitragliatore; 20mila cartucce varie». E precisa «occultamento risale presumibilmente at circa tre anni or sono».

Lo stesso giorno il tenente Ceva, in forza ai Carabinieri, comunicava: «Dieci militari arma barriera di Orbassano at seguito segnalazione confidenziale rinveniva materiale bellico occultato in due trattori fuori uso abbandonati in aperta campagna in zona Mirafiori», di proprietà di un industriale di San Damiano d’Asti.

Le operazioni, però, dovettero protrarsi per mesi se, ancora il prefetto Pavone, il 20 aprile del 1951, informava Bubbio e Scelba che, a Sesto San Giovanni era stato rinvenuto «materiale bellico lubrificato in perfetta efficienza sotterrato da ignoti».

Davide Gallesio

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