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Se i macedoni non bastano più arrivano gli extra europei in vigna

Vendemmia
Foto di repertorio

LA RICERCA La provincia di Cuneo –l’area che più contribuisce ai beni e ai servizi agricoli prodotti a livello regionale –è anche la quinta provincia italiana per numero di stranieri occupati nella coltivazione della terra: lo dice un’analisi recente condotta da Coldiretti, relativa al 2018. Ma parlare del ruolo degli stranieri in questo comparto non è semplice, poiché è interessato da profondi mutamenti negli ultimi anni. Le domande a cui rispondere sono tante: com’è mutata la presenza degli stranieri nelle campagne cuneesi? Come sono cambiati i meccanismi di reclutamento della manodopera? Quali problematiche di carattere sociale sono emerse e come affrontarle?

A questi interrogativi ha cercato di rispondere il Quaderno numero 38 della fondazione Cassa di risparmio di Cuneo, che titola Lavoro migrante in agricoltura, curato dai ricercatori Fabio Berton, Pietro Cingolani, Davide Donatiello e Sara Origlia, che fanno parte del Forum internazionale ed europeo di ricerche sull’immigrazione (Fieri) e del laboratorio Revelli. La ricerca ha analizzato i numeri e le caratteristiche del fenomeno, con il coordinamento del Centro studi e innovazione della fondazione Crc. I risultati saranno presentati domani, mercoledì 17, alle 16, durante un webinar aperto a tutti, iscrivendosi sul sito della fondazione. In queste pagine, ne anticipiamo i risultati.

SALUZZESE E ALBESE

La ricerca non ha preso in considerazione il settore agricolo cuneese a livello generale, ma si è concentrata sui due distretti più rilevanti: l’ortofrutticolo nel Saluzzese e il settore vitivinicolo nell’Albese. Lo scorso autunno, Gazzetta d’Alba ha portato alla luce la vicenda dei quaranta migranti africani accampati all’esterno del palazzetto albese di via Generale Dalla Chiesa. Accolti dal Centro di prima accoglienza della Caritas, con il supporto delle associazioni di Protezione civile e del Comune, hanno palesato alla città un fenomeno che non era ancora emerso in modo così netto, ma era comunque già presente sulle colline Unesco. Tutti i migranti lavoravano per aziende agricole del territorio, probabilmente ingaggiati tramite cooperative, per il momento più importante della stagione: la vendemmia.

Fino a qualche anno fa, i lavoratori subsahariani erano assenti nel comparto vitivinicolo, ma a loro si è iniziato a guardare per colmare la carenza di manodopera dovuta alla diminuzione dei flussi dall’Est Europa. Un problema che, la scorsa stagione, si è fatto ancora più sentire a causa dei confini bloccati per il Covid-19, come rischia di accadere anche quest’anno.

Ma, per comprendere la portata del fenomeno, è necessario quantificarlo. Ed è questo il primo punto che prende in considerazione il Quaderno 38, attingendo a diverse fonti, compresa Gazzetta d’Alba, che ha seguito a fondo il tema. Se il censimento generale dell’agricoltura si è rivelato datato, numeri più aggiornati sono stati ricavati da un’altra fonte: l’archivio delle comunicazioni obbligatorie della Regione Piemonte (Cob), costruito sull’obbligo per tutti i datori di lavoro di comunicare assunzioni e ogni variazione contrattuale al Centro per l’impiego competente per territorio. Da questa fonte emergono le due caratteristiche chiave della presenza di lavoratori extraeuropei nell’agricoltura cuneese: si tratta di un fenomeno in forte crescita, legato alla stagionalità delle produzioni.

NELLA GRANDA

Così, se si considera il mese di dicembre, il periodo minimo del ciclo stagionale, si è passati da 2.270 lavoratori extraeuropei nel 2010 a 5.464 nel 2019. Se poi si prende in considerazione il mese di settembre, che rappresenta il picco massimo di arrivo di manodopera dall’estero, nello stesso arco di tempo si è passati da 4.515 a 9.568, con una crescita di oltre 5mila unità. Significa che, nei dieci anni considerati, il numero di extraeuropei è praticamente raddoppiato.
Un trend di crescita registrato sia nel Saluzzese che nell’Albese. E, stringendo il campo alle sole colline del vino, se nel settembre 2010 i lavoratori non comunitari segnalati erano meno di mille, risultano essere più di 2mila dieci anni dopo. Senza dimenticare che queste sono solo le cifre ufficiali, esito dei rapporti di lavoro regolari.

Francesca Pinaffo

Marocco, Nigeria, Mali: i filari Unesco curati da molti subsahariani

Di quali nazionalità sono i lavoratori extraeuropei attivi nel distretto vitivinicolo albese? Anche in questo caso, i dati sulle comunicazioni obbligatorie alla Regione (Cob) sono utili. Se si guarda ai rapporti di lavoro iniziati nel 2010, i macedoni rappresentavano il 61,5 per cento dei lavoratori di origine non europea, seguiti dagli albanesi (9,9 per cento) e dai marocchini (8,3 per cento). Se si passa ad analizzare la nazionalità delle persone che hanno iniziato un rapporto dal 2014 e che non risultavano registrati in precedenza, si nota il cambiamento: nel distretto albese, il 30,4 per cento proviene ancora dalla Macedonia, il 14,8 dall’Albania e il 10,5 per cento dal Marocco, segno che la presenza di comunità radicate ha una forza attrattiva nei confronti di altri flussi di lavoratori. Ma, per la prima volta, è stato registrato un 7,9 per cento di nigeriani e un 7,4 di senegalesi. Al di sotto del 3 per cento, anche una quota di lavoratori provenienti dal Gambia e dal Mali. Sono percentuali molto più basse rispetto a quelle registrate nel Saluzzese, ma testimoniano comunque un cambiamento, con l’arrivo in vigna della componente subsahariana.

Un altro dato interessante, ricavato sempre dai Cob, è la capacità del territorio di trattenere i lavoratori migranti. Uno dei problemi del settore agroalimentare, in aree con una forte stagionalità, è la scarsa permanenza della forza lavoro nel medesimo luogo. Se per i migranti è legittimo spostarsi alla ricerca di condizioni migliori, questa situazione provoca degli effetti sul fronte imprenditoriale. Per esempio, i datori saranno meno propensi a puntare sulla formazione. Nel Quaderno 38, si prendono in considerazione gli addetti extraeuropei impiegati nell’agricoltura cuneese al 15 settembre 2010: analizzando gli anni successivi, è emerso come la permanenza in provincia tenda a scendere progressivamente. Per quanto riguarda il distretto albese, dopo cinque anni, solo il 60,8 per cento dei migranti si trova ancora sul territorio. Dopo nove anni, si scende al 48,7 per cento. Una parte di loro sceglie di lasciare le colline Unesco, ma l’area sembra comunque essere più attrattiva del Saluzzese, dove le percentuali risultano essere del 42,5 per cento e del 32,9 per cento, dopo cinque e nove anni dal primo lavoro.

f.p.

 

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